Quasi impossibile descrivere il refrigerio del vento freddo in metropolitana il primo luglio: è un po’ come la carezza di Dio che ti rassicura all’Inferno. Un regno del Demonio rappresentato al massimo potenziale dalla cruenta sessione estiva universitaria, forse l’invenzione più subdola mai plasmata dall’uomo per portare alla pazzia anche l’Angelo più devoto. Sei sudato, la maglia bagnata come dopo un tuffo in piscina a tradimento. Rischi una broncopolmonite ma sei amante del pericolo: quel getto d’inverno improvvisato è una bella rappresentazione di libertà. I tuoni e i fulmini li hai fatti all’esame e ora non puoi che goderti una meritata vacanza. Il tragitto verso la fermata è sempre come una marcia trionfale, nel tuo cuore domina Wagner con le sue Valchirie. Sorrisi sprecati al più distratto dei passanti, camminata alla Richard Ashcroft in Bittersweet Symphony, con la differenza che se urti qualcuno magari rischi anche di prenderle. Il sole scotta e scalcia come mai ma non ti tange, la gloria è stata raggiunta.
Nulla ti tocca e niente ti scompone. O quasi.
Più di un qualsiasi altro luogo collettivo la metropolitana è il posto perfetto per carpire ed assaggiare la vita delle persone attraverso gli sguardi. Ingresso, scale mobili, ascensori. Ci sono tutti: la teenager già troppo grande per le bambole ma non troppo giovane per il sesso, l’uomo d’affari in ritardo, un signore di mezza età che si pone domande sulla vita, l’arzilla coppia di vecchietti a cui le domande non servono più. E poi la colf straniera, la donna in carriera, quella casalinga, lo studente a cui magari l’esame non è andato poi così bene. Il pensieroso, gli innamoratini di Peynet, l’impiegato triste, l’arrabbiato cronico. E’ pur sempre vero che gli occhi riflettono l’anima. Altrettanto vero è che non sempre il riflesso risulta gradevole. Alcuni ricambiano la tua curiosità, altri fanno finta di ignorarti: le emozioni più private sono al contempo quelle maggiormente vulnerabili. E non tutti amano essere penetrati nella psiche.
Quando poi ti fai strada fino in fondo, emulando l’inutile corsa del ciuccio per entrare nei primi vagoni del treno, alzi la testa e accade un imprevisto meraviglioso: trovi lei. Nello specifico parliamo di occhi languidi, tra il malinconico e lo speranzoso, labbra carnose quanto basta, curve al posto giusto, classe innata che ha fatto ingiunzione per tenere a metri di distanza volgarità e cattivo gusto. Capelli rosso mattone, deliziose lentiggini, legge Coelho per divorare sentimenti. E’ la tua maledizione e, al tempo stesso, il desiderio più bello.
E’ la ragazza da colpo di fulmine. Quella di cui ti innamori subito, sedutastante. In sostanza, quella che probabilmente non avrai mai.
Scegliete lo stesso vagone. In realtà tu non hai scelto nulla: per te lo ha fatto quella maledetta freccia conficcata nel cuore. Lei seduta, tu in piedi in cerca di un appiglio scivoloso dopo ore ed ore di mani sudate. Continua a leggere imperterrita, nonostante due rumorose signore abbiano deciso di affrontare, in rigoroso dialetto stretto e con decibel correggibili, un’interessante discussione sulla spesa mattutina. La guardi e sei perso. Vorresti fare qualcosa. Ma obiettivamente non ci credi nemmeno un po’.
Toledo, Dante.
Le due vegliarde abbandonano, i posti si liberano. Dalla timidezza invece non ci si libera facilmente: tali resteranno, per te. Puzzi, senza troppi giri di parole, perché tutta Napoli sta scegliendo di entrare in quel vagone nello stesso momento e l’ossigeno scarseggia. La calura ti entra nelle ossa e non svieni solo per via del Paradiso che hai davanti. La testa quasi mai lontana dalle pagine, tutti i sensi invece evidentemente allerta: un sospiro di sollievo quando un tamarro si allontana dopo averla squadrata con insistenza. Per un attimo incrocia il tuo sguardo. E’ solo un attimo ma serve per farti abbassare gli occhi. Troppa bellezza per meritarla tutta.
Museo.
Una mamma sulla trentina stringe le manine dei suoi due bambini. Arriva l’ilarità, perché la fanciullezza altro non è che un sorriso perenne. Il più piccino indica un barbuto signore lì vicino: “mamma, quello è Babbo Natale?”. La genuinità e il candore spezzano le catene dell’indifferenza: si guardano tutti compiaciuti, quasi fosse un successo collettivo.
E guardi anche lei.
Ti sorride. Ricambi. 2 secondi. Torna al suo libro. Ti guarda di nuovo.
Anche questo è amore.
E così te ne rendi conto: sei pazzo di lei.
Materdei, Salvator Rosa.
Forse non è un miraggio. Pensi a cosa dirle. Una scusa, una bugia, qualsiasi cosa. Rifletti su una vita insieme a lei. “Non ci sono parole per descrivere cosa c’è dentro di me adesso”, vorresti poterle spiegare. Non lo farai. Eppure devi provarci. Ma se poi non va? Un sorriso non è un contratto e una sconfitta lascia la cicatrice. Il tempo stringe. Preghi che si alzi, che debba prendere la tua stessa strada. Ti ripeti che la speranza è l’ultima a morire. Trovi il coraggio.
Quattro Giornate.
La porta si apre. Il bivio: ti giochi il jolly o dai alla tua vita un altro rimpianto? Una frazione infinitesimale non basta per una scelta così.
Ti avvii all’uscita. La guardi un’ultima volta. E’ come un addio. Non si girerà.
Si gira. La porta chiudendosi quasi ti trancia un braccio. Si allontana per sempre.
Sei un cretino.
Te la prendi con Dio ma non è lui il colpevole: ognuno è il rigetto delle proprie scelte, siano infelici, stupide, senza logica, irrazionali o decisive. Forse qualcun altro troverà la maniera per cedere alla tentazione di abbracciare un rischio calcolato. Forse non avrai un’altra chance così.
Per inciso, questa è una bugia.
Chissà come si chiama. Cosa farà della sua vita? Quale bastardo le spezzerà il cuore? Quanta passione si cela in un suo bacio?
Il treno è ormai passato.
Sei a pochi passi da casa, le cuffie rimandano un assolo di David Gilmour. E infine realizzi: tutto questo non rovina la tua giornata. Sono stati quindici minuti di amore puro, irresponsabile, insensato. Ma è stato amore, ti sei concesso in silenzio al più devastante e ingiusto dei sentimenti. Se non è un atto di coraggio questo.
Il sole è ancora alto. E non c’è un solo motivo, in questo momento, per smettere di sorridere.
-Claudio Agave
Illustrazione di Sara Palumbo
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