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La querelle dei napoletani: via Roma o via Toledo?

A Londra Oxford Street, a Barcellona La Rambla, a Roma via del Corso,e a Napoli? Vantiamo via Toledo.

L’arteria principale della city partenopea, sita nel quartiere San Ferdinando, si snoda per ben 1.2 km tra piazza Dante e piazza del Plebiscito.
Crocevia di turisti nonché meta preferenziale del passeggio napoletano; tra vetrine e saltimbanchi, vecchie botteghe e negozi di moda, è qui che la vita borghese s’incontra e si mesce con quella popolana, che l’uomo in cravatta incrocia lo scugnizzo.
Colori, suoni, profumi: non è una via piuttosto una esperienza sinestetica, uno stato d’animo.

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La doppia identità: “via Roma già via Toledo”

“Passe scampanianno pe’ Tuleto” così  nel 1956 scriveva Renato Carosone nella sua intramontabile “Tu vuò fa’ l’Americano”. “Toledo? Ma non si chiama via Roma?”, qualcuno avrebbe potuto a buon diritto obiettare.
I cittadini partenopei la conoscono, ovviamente , con entrambi i nomi. Tuttavia non è raro che anche per loro aleggi una certa incertezza e mistero su quale sia quello corretto.
A dirla tutta non esiste il nome vero. Entrambi lo sono e rappresentano rispettivamente due anime, due identità, due storie diverse di una stessa Napoli; un’anima iberica, una italiana.
Esiste tutt’al più una toponomastica ufficiale che è mutata uniformemente al corso degli eventi storici.
Ripercorriamo dunque insieme la storia di quella che rappresenta la via per antonomasia dello “struscio” napoletano.

Correva l’anno 1536 quando il vicerè di Napoli don Pedro Alvarez de Toledo, ne commissionò ai due architetti regi Giovanni Benincasa e Ferdinando Manlio la costruzione. L’idea nacque per un triplice scopo. Innanzitutto ricoprire il cosiddetto “Chiavicone”, fogna a cielo aperto che da Montesanto incanalava verso il mare le acque reflue provenienti dalla collina vomerese.  In secondo luogo creare una via di collegamento tra Largo del Mercatello (oggi piazza Dante) e l’oramai florido in espansione quartiere Chiaja, nonché fornire agli acquartieramenti delle truppe iberiche, siti negli adiacenti Quartieri Spagnoli, un’agevole strada per raggiungere il Foro Regio (attuale piazza del Plebiscito), dove sarebbe sorto di lì a poco e sempre per volere di don Pedro il palazzo vicereale. Il progetto stabilì che l’arteria dovesse estendersi lungo la vecchie mura occidentali di età aragonese che, considerate ormai obsolete dal toledano furono abbattute per l’ampliamento del perimetro difensivo.
In onore del “viceré urbanista” la strada fu battezzata via Toledo.

Attività commerciali, caffè letterari, imponenti edifici civili e religiosi sorsero, l’animarono e le consentirono di diventare il cuore pulsante della città.
La mattina del 20 Settembre 1870, però, accadde qualcosa che avrebbe cambiato la storia della neonata Italia e condizionato quella di Napoli. Roma fu conquistata e annessa al Regno d’Italia, di cui a breve ne divenne la capitale.

E’ qui che si colloca il punto di snodo della questione toponomastica.

Paolo Emilio Imbriani
Il ritratto di Paolo Emilio Imbriani

Via Toledo diventa Via Roma

Il 10 Ottobre di quell’anno, l’allora sindaco di Napoli Paolo Emilio Imbriani pensò -non è del tutto chiaro se sua sponte o per una tacita richiesta dei Savoia- di modificare in onore della neocapitale il toponimo via Toledo in via Roma. La proposta destò subito non poche polemiche nel consiglio comunale e fra i cittadini, dividendo letteralmente l’opinione pubblica. Cambiare il nome plurisecolare significava tradire la tradizione e le proprie radici o dimenticare la dominazione straniera e riacquistare la dignità perduta? Siamo di fronte ad un’aporia.
La questione fu liquidata dalla Giunta comunale scegliendo una soluzione intermedia: la strada si sarebbe chiamata “via Roma già via Toledo“. Ma questo amaro premio di consolazione non acquietò di certo i più, i partenopei veraci, che si riunirono nel famoso “Comitato Pro via Toledo” , ricevendo manforte da numerosi intellettuali. Lo storico napoletano Bartolommeo Capasso seppur a favore dell’unità d’Italia, scrisse indignato : «una denominazione che non ha guari, disconoscendosi la storia si è voluta in altro mutare». Il supporto venne addirittura anche da oltralpe. Lo storico tedesco Ferdinand Gregorovius si pronunciò a riguardo così: «di cosa in cosa si è andati al punto di mutare in Napoli insino il nome storico e tre volte secolare della strada Toledo in quello di strada Roma, e di voler costringere il popolo, che vi si oppone e resiste, a riconoscere la scipita violenza»
Ciò nonostante Imbriani fu perentorio. Le vecchie targhe stradali furono sostituite con quelle aggiornate e, nel clima di accesa protesta, si ritenne addirittura necessario che fossero sorvegliate da guardie municipali per evitare atti vandalici da parte dei focosi partenopei contro le stesse.
Nel corso degli anni a venire, il nome originario cadde in disuso soprattutto fra le nuove generazioni, ma solo parzialmente.
La canzone napoletana infatti, da sempre frutto più autentico del sentimento popolare, ne divenne custode non dimenticando mai la natura originariamente ispanica dell’amata strada e la citò sempre in termini di “Tuleto”.

Fuje ll’autriere ca t’aggio ‘ncuntrata
fuje ll’autriere a Tuleto, ‘gnorsí
(Libero Bovio, Reginella, 1917)

Toledo, non via Toledo, benché meno via Roma. Non è una via, è un sentimento.
Solo nel 1980, dopo quasi un secolo, per volere della Giunta Valenzi l’arteria partenopea riacquistò il suo nome originario e il nome via Roma fu invece assegnato ad una strada del quartiere di Scampia.
Tuttavia il napoletano si sa, tanto nel sorriso quanto nel pianto, non perde mai la sua connaturata ironia.
E infatti fu nel ventre del malcontento che prese vita una filastrocca ancora nota agli anziani della città:

“Nu’ ritto antico, e ‘o proverbio se noma, rice: tutte ‘e vie menano a Roma; Imbriani, ‘a toja è molto diversa, non mena a Roma ma mena a Aversa“.

Come mai proprio Aversa? Era proprio lì situata la prima struttura manicomiale italiana: la Real casa dei matti!

-Marianna Di Nardo

Bibliografia
Camillo Albanese, Le curiosità di Napoli, Newton Compton editori, 2015

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