“Il Nero di Napoli” che incantava il Mondo intero!

Quante volte siamo passati in via San Biagio dei Librai? Questo è, senz’ombra di dubbio, uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi della città, fatto di una bellezza rara e oscura, difficile da capire. Un susseguirsi di antichi ed eleganti palazzi, custodi di un passato secolare, un luogo impregnato di Arte e Cultura. Seguendo per alcuni metri la strada, che un tempo costituiva il Decumano inferiore dell’antica città, si giunge presso la Chiesa di San Filippo e Giacomo, teatro di una storia incredibile, rimasta per lungo tempo dimenticata dal popolo napoletano e non solo.

L’origine della Corporazione della seta a Napoli

Ma facciamo un salto indietro nel tempo, fino al lontano 1477, ovvero quando, sotto il Regno degli Aragonesi, un gruppo di mercanti, tessitori e tintori fondò la Corporazione della Seta, conosciuta anche come “Consolato dell’Arte della Seta”, perché retta da tre consoli: due mercanti, uno nato nel Regno di Napoli e uno straniero, e un tessitore nato a Napoli. Chiunque poteva liberamente entrare a far parte della Corporazione registrando il proprio nome sul libro dell’Arte della Seta, atto con il quale erano garantiti innumerevoli privilegi: l’abolizione dei dazi doganali, l’impunità dei crimini commessi prima e dopo l’iscrizione, il poter essere giudicati da un Tribunale Speciale dell’Arte della Seta, ecc.

 

nero di napoli
Stemma del primo insediamento della Corporazione nella città di Napoli

In realtà il primo insediamento della Corporazione nella città di Napoli, databile intorno al 1581-82, non fu nell’attuale via San Biagio dei Librai, ma in Piazza Mercato. Infatti, qui sorgevano una piccola cappella, già dedicata ai Santi Filippo e Giacomo, e un conservatorio, nel quale erano ospitate tutte le fanciulle, dai 5 ai 14 anni, figlie degli artigiani poveri, malati o deceduti che appartenevano alla Corporazione, alle quali non solo era garantita piena assistenza, ma venivano forniti loro l’insegnamento di un mestiere e un aiuto economico di 50 ducati per trovare marito.

Nel 1590, poi, il numero di ragazze crebbe notevolmente, arrivando a oltre 200. Per questo motivo, i membri della Corporazione decisero trovare per loro una sistemazione migliore. Fu così che acquistarono il Palazzo del principe di Caserta Aquaviva, con lo scopo di costruire un conservatorio più grande, posto alle spalle del Palazzo del duca Spinelli Castrovillari. Successivamente, nel 1601, forti del successo raggiunto negli anni, i maestri della Seta decisero di acquistare anche il Palazzo del duca, ed erigere così la Chiesa grande, inaugurata nel 1641 e dedicata ai Santi Filippo e Giacomo, protettori dei setaioli e dei mali contro la pelle.

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Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo

Ecco una piccola chicca: sul Trono presente nella chiesa, ricoperto di seta e intagliato d’oro, è posto lo stemma della Corporazione: i tre filamenti di seta più pregiata del Regno, quello di Napoli, Amalfi e Abruzzo.

 

Le origini del Nero di Napoli

Ma, tornando al nostro discorso originario, cos’è questo Nero di Napoli? Innanzitutto dobbiamo ricordare che l’attività serica fu importantissima per l’economia di Napoli, dal ‘500 fino all’800, cioè quando la rivoluzione industriale tolse il primato alla città. Ma gli anni d’oro si registrarono a cavallo tra il 1580 e il 1630, periodo durante il quale, per l’appunto, Napoli si impose come grande potenza produttiva della seta, un settore trainante nel quale era coinvolto in maniera quasi totale non solo il popolo napoletano, ma quello dell’intero Regno. Le sete partenopee, grazie ai galeoni spagnoli, erano in grado di raggiungere persino le lontane Americhe, dalle quali poi, in cambio, giungevano nuove sostanze coloranti ancora non utilizzate nel Regno Aragonese: la cocciniglia, la terra gialla, l’indaco… Nuovi colori con i quali poi i tintori napoletani creavano incredibili sfumature: pensiamo ad oltre 100 diverse tinte di celeste, oltre 80 tipologie di rosa, ecc. 
Ma primo su tutti, spiccava il proprio nero. Quest’ultimo, per la sua brillantezza e lucentezza, era addirittura conosciuto come “il Nero di Napoli”, e fu amato così tanto che tintori da tutto il mondo arrivavano in città per immergervi le proprie stoffe.

Per oltre tre secoli tintori, setaioli e mercanti resero Napoli un esempio di maestria e raffinatezza, virtù che portavano tutto il mondo a guardare la città con occhi incantati e pieni di ammirazione. Un’Arte, quella della Seta, destinata a non tramontare mai. Oggi, come allora, infatti, basta percorrere Vico Gelso lungo, Calata dei tintori, San Biagio dei taffettanari per rivivere e riassaporare gli antichi odori e colori (soprattutto il nero) delle stoffe che resero Napoli una potenza mondiale.

-Claudia Paesano

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