Fare del bene senza chiedere nulla in cambio. È tutta qui che si racchiude la grandezza umana ed è anche per questo che, ancora oggi, viene ricordato Totò.
Il 15 aprile 1967, il Principe pronunciò quel «Portatemi a Napoli» prima che il suo cuore si fermasse. Sì, un cuore napoletano, che lo portava a farsi accompagnare di notte da Roma, dal suo autista, per lasciare banconote da diecimila lire sotto le porte delle abitazioni delle famiglie povere del Rione Sanità, il quartiere più popolare di Napoli.
Lì, nel 1898, aveva visto la luce Antonio Clemente, che lottò fino all’età adulta per farsi riconoscere il cognome De Curtis e i titoli nobiliari che un signorotto decaduto non voleva accordargli per non legarsi a una popolana.
Il legame fra Totò e Napoli
Totò e Napoli, un legame inscindibile tra un uomo che pur recitando in italiano pensava in napoletano, sorrideva in napoletano, ragionava in napoletano e aveva una mimica tutta napoletana. E lo poteva fare perché aveva conosciuto la fame vera, la vergogna dello sfottò, i sacrifici di un popolo che pur “arrangiando” non perde il sorriso.
Il Principe dai modi garbati, eleganti, signorili, che faceva innamorare le donne con le sue attenzioni e la sua bellezza d’animo. Era geloso sì, eh…era napoletano! Lo sanno bene Diana Rogliani, la sua prima moglie e Franca Faldini, la sua compagna di vita adulta.
Entrambe ricordano le sue scenate per uno sguardo frainteso o un vestito più succinto, ma nessuna delle due è mai riuscita a staccarsi dagli abbracci di un uomo per il quale una soubrette, Liliana Castagnola, si suicidò e per tale motivo Totò scelse di dare il nome Liliana al suo amore più grande: la figlia.
Un uomo magnetico che racchiudeva mille pregi e mille difetti, ma di certo non un uomo banale, al quale Diana scrisse prima di morire che, nonostante i loro litigi, avrebbe voluto incontrarlo di nuovo in Paradiso perché non aveva amato nessuno come lui e che nessun altro uomo poteva reggere il suo confronto.
Un attore che ha cambiato la comicità
Totò, l’attore che ha rivoluzionato la comicità, colui che univa mimica e parole in un turbinio di neologismi tali da modificare lessico e dizionari. Colui che ha insegnato al mondo a ridere senza volgarità, colui che ha ridicolizzato i caporali, che ha esorcizzato i soprusi, che ha ridato dignità alla fame, decoro alla povertà, sobrietà alla ricchezza e che ha fatto ridere intere generazioni e continua a farlo, attualizzando tutti i problemi e le difficoltà dell’italiano medio.
È stato onesto e tartassato, guardia e ladro, misero e nobile, orfanello e signore, sceicco e turco napoletano, maresciallo, comandante e colonnello, monaco, fermo con le mani, imperatore, medico dei pazzi, al giro d’Italia, ha cercato casa, moglie e pace, ha lasciato e raddoppiato, è stato in un letto a tre piazze e a cena con sua eccellenza, ha lottato contro il pirata nero, contro Maciste e contro i quattro…ma, soprattutto, ha lottato e ha vinto contro il pregiudizio e la miopia di chi, inizialmente, lo considerò soltanto un guitto.
Mio caro Totò
Mio caro Totò, oggi tutti ti ricordano perché fa comodo, ma tu da lassù starnuta in testa alle ciofeche che usurpano il tuo nome, così come facesti con l’archivista capo. Fallo perdindirindina e perdinci e Bacco; fallo perché a cuoppo cupo poco pepe capa; fallo perché è troppo facile salire sul carro dei vincitori; fallo perché queste non sono quisquiglie o pinzellacchere; fallo perché questi non parlano a come badano e non sanno che signori si nasce e tu lo nascesti, modestamente!
Mio caro Totò, tu che sei stato amico, padre e maestro; tu che ci hai trasmesso l’amore per questa città e per le tavole del teatro; tu che ancora oggi fai ridere intere generazioni, continua ad alleviare le sofferenze di un’umanità che grazie a te ritrova ancora un motivo per sorridere alla vita.
Yuri Buono
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