La poeticità, il sentimentalismo del film “L’arte della felicità” è evidente non solo dal titolo del film che definisce chiaramente la felicità un’arte ma sin dalle prime parole che vengono pronunciate mentre un gabbiano vola su una Napoli piovosa e perturbante, quasi malinconica.
La storia di due fratelli a Napoli: la felicità e l’infelicità
L’arte della felicità è un film d’animazione del 2013 scritto da Luciano Stella e Alessandro Rak, distribuito da “Cinecittà Luce” e Rai Cinema con il contributo del MiBACT.
Protagonista de L’arte della felicità è Sergio, un pianista che ha trovato nel lavoro di tassista un riparo da un dolore: la morte del fratello Alfredo, partito e mai ritornato dal Tibet. Sergio ha smarrito la felicità, utilizza quella macchina per scappare dal dolore e quando “frena” non può rimuginarci sopra, c’è un passeggero da far salire. Sergio è infelice, come la Napoli in cui si muove, una città immersa in una pioggia incessante, con rifiuti disseminati ovunque.
Tra quelle nubi oscure che minacciano la città solo i ricordi del fratello maggiore Alfredo illuminano la scena, un uomo divertente, colto, spirituale e saggio. Tra i diversi ricordi si comprende come Sergio fosse sempre stato contrario alla partenza di Alfredo, intenzionato a diventare un monaco Buddhista. “Io e te eravamo come due vasi comunicanti” dice Sergio in uno dei ricordi
“Dicono che l’anima ritrova sempre la strada di casa, non importa quanto tempo è passato, non conta se il momento è quello giusto. L’anima ritorna, ma quello che mi chiedo è: qual è la sua casa? Queste sono le prime parole pronunciate ad inizio film.
da “L’arte della felicità”
Alfredo ritorna a Napoli, o meglio la sua anima, la sua essenza ritornano in quella città, in ogni palazzo, ogni edicola votiva, ogni teatro, vicolo, strada… ma soprattutto in una lettera indirizzata al fratello minore, che sembrerebbe ostinato a non leggere. Sergio non sa che la sua infelicità non ha scampo: Alfredo, attraverso dei speciali passeggeri, gli indicherà la strada per la felicità, dovesse cascare la città… cosa che infatti “accade”.
Napoli, città specchio dello stato d’animo
Sergio, morto il fratello, si rinchiude in macchina. Qui, tuttavia, incontrerà dei passeggeri speciali (una anziana, uno speaker, una donna senza meta…) che raccontano al taciturno ma gentile tassista la loro storia, la loro ricerca della felicità, anzi, la loro piccola arte della felicità in un mondo che produce e getta, che si stanca subito e che poi cammina a testa bassa tra i rifiuti. Quello che Sergio non sa è come in ogni passeggero ci sia l’essenza del fratello, così come nella città.
È affascinante vedere come lo stato d’animo dell’uomo corrisponda a quello del paesaggio e a ciò che l’ambiente presenta. Sergio pensa al rapporto distaccato con i genitori e con la madre? Ecco che subito sullo sfondo appare un’edicola votiva che ritrae la Vergine con Gesù Bambino, simbolo per eccellenza della maternità.
Sergio ascolta le storie dei passeggeri ed è stanco, il cielo piange su Napoli al suo posto, ma non vuole capire, non legge la lettera “ama la musica ma è sordo a tutto il resto” diceva il fratello Alfredo.
Durante un nuovo giorno di Pioggia, mentre Sergio accompagna la cantante Antonia, il cielo si tinge di rosso, la terra trema, il Vesuvio si sveglia. I palazzi crollano, i cani abbaiano, il mare non si vede più. Nella scena precedente Sergio cade preda di una crisi in cui dichiara la sua stanchezza nel dover ascoltare cose senza senso e solo le vite degli altri, finalmente esplode e così fa il Vulcano che circonda la città.
Senza sottrarre la piacevolezza della scoperta a chi volesse immergersi in questo capolavoro su pellicola cinematografica, si può concludere che Sergio capisce che anche nella apparente insensatezza di una città distrutta, come è distrutto il suo animo, è possibile trovare la felicità.
Sergio Capisce di non essere malato, di non essere ossessionato, di poter ritrovare Alfredo perché l’infelicità data dall’assenza di senso è creazione umana.
La gente parla, consuma le parole come i rifiuti cercando di darsi spiegazioni, tanti “se”, tanti “ma”, cercando di razionalizzare la morte mentre nessuno dice “è morto perché è nato”, sono queste le parole del sacerdote durante il funerale di Alfredo che, nella lettera consiglia al fratello di “non guardare al passato e nemmeno al futuro, ma a ciò che avviene nel presente. Pensare al presente è scoprire di non essere ammalati, che non c’è nessuna morte, perché in quel presente cammino, mangio, sogno, penso, desidero e piango, scrivo questa lettera e tu leggi questa lettera”.
Il tempo si fa eterno, Sergio ritrova la felicità e su Napoli torna il sole…Napoli, mille corridoi di un’unica casa dove qualunque angolo è in grado di rievocare pensieri e ricordi del tutto personali, non poteva non essere la strada su cui un uomo, come un filosofo, supera un lutto e cerca la felicità.
-Francesco Lomasto
informazioni:
E’ possibile vedere il film ” L’arte della felicità” sulla piattaforma streaming online “Rai Cinema”
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