Sul finire del XIX secolo, l’America era vista come un miraggio per tanti uomini in cerca di fortuna, ma anche come terra promessa per disperati e per criminali, che trovarono una florida base per i propri affari. Proprio qui nacque la Black Hand, una società segreta di estorsori, rapinatori e delinquenti che furono protagonisti della cronaca degli Stati Uniti.
Le enormi prospettive del mercato in espansione, la possibilità di condurre business criminali redditizi come la gestione della prostituzione e di sale da gioco in una terra vergine ed il nuovo mercato delle importazioni dai paesi d’origine resero la criminalità italiana vivissima in America. D’altronde l’alternativa regalata dalle nascenti fabbriche americane era un lavoro massacrante a poco prezzo e, nel soddisfare queste necessità, polacchi, irlandesi ed italiani furono trattati come carne da cannone.
In quest’ambiente di grandi orizzonti e grandi ingiustizie, un gruppo criminale degli Stati Uniti conquistò la cronaca.
Alle origini della Mano Nera
Il termine “Black Hand” o “Mano Nera” nacque forse per l’ingegno di Carlo Barsotti, il giornalista del “Progresso Italo-Americano” di New York, che coniò questo termine per evitare di utilizzare la parola “Mafia” nei suoi articoli. Altra teoria invece la illustrò Gaetano D’Amato, presidente della United Italian Societies di New York ed amico di Joe Petrosino: a suo avviso, infatti, nel XIX secolo era operante in Spagna una società criminale di guardie del corpo per ricchi e notabili, chiamata “La Mano Negra” a causa del nome che suonava assai minaccioso, ma è anche riconducibile alla “manonera“, un’organizzazione internazionale di natura anarchica.
Fu quindi probabilmente adottata la stessa denominazione in America perché “high-sounding and terror-inspiring” (“altisonante e terrorizzante”), diceva D’Amato.
Un modello che diventa virale
Qualunque sia stata la reale origine della Black Hand, il nome geniale ebbe un grande successo e fu ripresa da tutta la stampa dell’epoca, tanto da convincere tantissimi criminali americani ad identificarsi con il nome di “Black Hand” a causa dei segni distintivi che lasciavano disegnati nelle loro richieste di riscatto o lettere minatorie: un teschio nero o, appunto, una mano nera. Alcune lettere erano scritte da persone mediamente alfabetizzate, altre invece erano ricche di strafalcioni in italiano e in inglese, spesso infarciti di termini dialettali da tutte le regioni italiane. Si stima che circa i due terzi della popolazione di emigrati italiani sia stata minacciata dalla Black Hand.
Alla fine furono proprio gli immigrati italiani, vessati dalla criminalità, a creare un’organizzazione a supporto della polizia statunitense: si chiamava “La Mano Bianca” e serviva proprio a contrastare i delinquenti.
Un esempio di lettera minatoria: “If you have not sufficient courage you may go to people who enjoy an honorable reputation and be careful as to whom you go. Thus you may stop us from persecuting you as you have been adjudged to give money or life. Woe upon you if you do not resolve to buy your future happiness, you can do from us by giving the money demanded. …”
(“Se non hai sufficiente coraggio puoi andare dalle persone che godono di una onorevole reputazione, ma stai attento da chi vai. Così puoi impedirci di perseguitarti nel ricatto di donare o il denaro o la vita. Guai a te se non scegli di comprare la tua futura felicità puoi farlo da noi dandoci i soldi che ti abbiamo richiesto”).
Estratto dagli atti del processo contro Pasquale Lopipero e Antonio Lecchi del 22/9/1911, riportato in “The Mammoth Book of The Mafia”, di Nigel Cawthorne.
“Questa è la seconda volta che ti avverto. Domenica, alle dieci del mattino, porta 300$ senza fallire all’angolo fra la Seconda Strada e Third Avenue. Altrimenti ti bruceremo e ti faremo esplodere con una bomba. Riflettici bene, questo è l’ultimo avviso. Mi firmo la Mano Nera (con numerosi disegni di spade, teschi e croci)”.
Archivi della polizia dello Stato di New York, 1908
Barrel Murder Case
Il momento in cui divenne famosa la Mano Nera fu il “Barrel Murder Case” del 1903 a New York, uno dei primi casi giudiziari che coinvolsero le mafie italiane a New York: fu ritrovato in un barile il corpo di un uomo con la gola tagliata di netto e 18 coltellate alle spalle.
A seguito delle indagini del detective Joe Petrosino, si arrivò a sgominare in pochi giorni il clan Morello a forza di arresti e retate della polizia.
I quotidiani dell’epoca cominciarono quindi ad associare i numerosi atti di estorsione e ricatto ad un gruppo malavitoso chiamato “La Società Camorrista” o “La Mala Vita”, poi “La Mano Nera”. Paradossalmente, però, il caso dell’omicidio nel Barile non aveva proprio nulla a che fare con nessuna società criminale napoletana, trattandosi di un regolamento di conti fra mafiosi.
Fra i registri di polizia degli Stati Uniti, però, rileviamo che buona parte dei primi arrestati della Mano Nera erano di origine italiana, poi presto diventò un “movimento criminale” senza più nazionalità e senza alcun capo né coda: bastava identificarsi come “mano nera” per darsi il tono di un criminale.
I metodi di azione della Mano Nera furono abbastanza rozzi, segno del fatto che nell’America di fine ‘800 e inizio ‘900 la criminalità organizzata italiana non era paragonabile alle strutture di Camorra e Mafia in madrepatria, da un lato per la poca corruzione delle autorità amministrative americane che non permettevano uno sviluppo borghese e politico della Camorra; dall’altro per l’assenza di una vera classe dirigente criminale emigrata oltreoceano: in America arrivò per lo più la più rozza e bassa manovalanza della Camorra e della Mafia confusa nella immensa massa di disperati sui bastimenti in partenza da Le Havre. Anzi, quando scappò a New York Errico Alfano, un capintesta camorrista di inizio XX secolo, gli stessi camorristi d’oltreoceano fecero di tutto per rispedire a Napoli il loro “ingombrante” conterraneo, nel timore che volesse rovinare le gerarchie criminali. Bastarono pochi mesi per far sì che una soffiata anonima portasse la polizia nel suo nascondiglio. E fu subito organizzato il rimpatrio.
Il caso Caruso
Probabilmente il più famoso rapimento della Black Hand fu quello di Enrico Caruso, prima minacciato e poi rapito. Era infatti il bersaglio perfetto: napoletano, ricco e capace di comprendere i messaggi sgrammaticati di minaccia.
Quando ricevette la prima lettera di minacce nel 1910, il tenore era già una star negli Stati Uniti, con la sua fama che rapidamente aveva raggiunto il livello planetario. Fu rapito da due malviventi e gli furono chiesti 2000 dollari per essere liberato, una cifra che oggi equivarrebbe a circa 50.000 euro. Pagò, terrorizzato, e non accadde nulla. Ma la notizia non sfuggì agli attenti giornalisti americani.
Fu proprio lo stesso Caruso a raccontare che, quando si venne a sapere in giro che aveva pagato il salatissimo riscatto, cominciò a ricevere talmente tante lettere di minacce da poter creare una pila di carte alta quasi quanto lui.
Fra tante lettere dai toni esagerati, violenti o assurdi, una di queste era firmata dalla misteriosa Mano Nera del primo riscatto: minacciava morte e spargimenti di sangue in caso di denuncia alla polizia, ma la cifra era improponibile: 15000 dollari, equivalenti a circa 350.000 euro attuali.
La stella del canto napoletana, in preda alla disperazione, avvisò la polizia e fu accolto proprio dal suo conterraneo Joe Petrosino, nativo di Padula. Organizzarono un rischiosissimo appuntamento: Caruso infatti avrebbe dovuto richiedere un incontro con gli estorsori, in modo da permettere l’intervento della polizia. Tutto andò per il verso giusto grazie all’intervento del detective italoamericano, che arrestò due malviventi italiani. Il processo che venne dopo, tenne impegnato il cantante per diversi anni e si risolse con la condanna dei ricattatori.
In realtà, il cantante rimase molto segnato dall’esperienza, anche se in tutte le interviste parlava in toni sempre spavaldi ed arroganti del suo rapporto con le migliaia di lettere di minaccia: diceva “sono pronto a tutto“, “rido in faccia alla Mano Nera“. Ma in realtà, dopo i fatti del 1910, comprò una pistola e per tutta la vita visse con l’arma sempre a portata di mano. Addirittura in un’intervista del 1920 rispose che “avrebbe sparato anche in mezzo al pubblico“, se un malvivente si fosse mai azzardato a puntargli contro un’arma durante una delle sue esibizioni.
Una prima associazione criminale
Il mito della Black Hand si diffuse in tutta America per mezzo della vastissima copertura della stampa nazionale, invitando moltissimi gruppi di emigranti italo-americani ad emulare le gesta dei criminali newyorchesi in altre grandi città, prima fra tutte Chicago: nacquero “mani nere” in numerosissime metropoli americane con forte presenza italiana, ma rimasero tutti gruppi criminali completamente slegati fra loro. Si arrivò al picco di rapimenti nel 1908, con ben 424 casi attribuiti alla Black Hand distribuiti in tutto il paese.
Decimata dalla attività repressiva incessante della polizia, dai rafforzati controlli dell’immigrazione, dalla forte campagna di discredito della stampa nazionale e dall’incapacità di evolversi nella sua struttura durante il proibizionismo degli anni ’20 e ’30 americani, la Black Hand newyorkese sparì assieme alla camorra d’oltreoceano dopo la Grande Guerra e lasciò campo libero alla Mafia siciliana d’America, regina incontrastata delle vicende criminali ed economiche negli anni a seguire.
-Federico Quagliuolo
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