Il Chiosco dei fiori di Piazza Vanvitelli è uno di quei luoghi-storia. Nel senso che l’esistenza stessa di quell’attività commerciale è una parte della storia collettiva di un quartiere, a partire dal fatto che questo chiosco aveva un legame strettissimo con Armando Diaz, il Duca della Vittoria, che lo salvò dalla rimozione.
Che questo sia un luogo magico lo sapeva bene Emilio, un signore di 87 anni che, ogni giorno fino a poco tempo fa, si faceva portare davanti alla piccola struttura della piazza principale del Vomero e si soffermava a guardarla in silenzio, poi andava via.
Un giorno spiegò il suo personalissimo rituale: “ogni volta che la guardo ricordo quando, nel lontano 1947, proprio qui davanti c’erano mia madre e la mia futura moglie che sceglievano i fiori del bouquet. Oggi non ci sono più né mia madre né mia moglie, ma la memoria è tutta davanti ai miei occhi“.
Questa, ed altre mille memorie, storie ed aneddoti di quartiere, sono custodite gelosamente da Davide Estate e da suo padre Giovanni, che oggi portano avanti una tradizione antichissima: gestiscono infatti di uno dei due chioschetti secolari di Napoli.
Il chiosco salvato da Armando Diaz
Tutto nacque con Armando Diaz. O meglio: la sua attuale posizione la dobbiamo addirittura al Duca della Vittoria.
“L’unica testimonianza dell’esistenza di questo punto vendita – spiega Giovanni, il titolare – la dobbiamo a una foto del 1907 che nemmeno fu fatta con l’intenzione di ritrarre il chiosco“. Sparge su un tavolino di ferro decine di documenti ingialliti e centenari, spuntano foto di ogni sorta e ne pesca una. “Guarda qui, il tram a cavallo che girava a Napoli fra fine ‘800 e inizio ‘900“. Sulla destra spunta una piccola bancarella con una tettoia, poggiata sulla parete della facciata di quello che un giorno sarà un famoso negozio di ottica di Piazza Vanvitelli. Ecco il primo chiosco.
“Fino al 1924 si trovava pochi metri più indietro. Poi arrivò una lettera che intimava al mio avo, Raffaele Capodanno, lo sgombero“. Il Municipio di Napoli voleva infatti piazzare un’edicola al posto del fioraio. Ma intervenne l’uomo più amato d’Italia per modificare il corso della Storia.
Il fioraio, infatti, era anche il giardiniere della villa di Armando Diaz a Via Aniello Falcone (ancora oggi la traversa di Villa Presenzano prende il nome di “Via Diaz”) sin dal tempo in cui la comprò, all’indomani della fine della Prima Guerra Mondiale. Con Duca della Vittoria si instaurò un rapporto di simpatia reciproca, che rimase intatto anche quando il generale napoletano fu chiamato a Roma al Ministero della Guerra e fu costretto a lasciare la sua amatissima Napoli.
Quando Diaz venne a sapere che il suo amico fioraio stava per essere sfrattato, non perse tempo ed inviò una lettera al Comune di Napoli, premurandosi di sottolineare agli amministratori il valore storico del chiosco e l’importanza di quest’ultimo per il quartiere. È comprensibile che una lettera giunta direttamente da Roma, per giunta da Armando Diaz in persona, riusciva ad ottenere qualsiasi cosa. Pare che addirittura il re Vittorio Emanuele III fosse stato informato e, qualora vi fosse stato un diniego da parte del Comune, era già pronta una lettera firmata dalla massima autorità dello Stato.
Fu quindi costruita nel 1924 l’attuale struttura, in stile liberty come dettava il gusto dell’epoca, e da allora è rimasto praticamente identico.
Attorno alla posizione strategica del chiosco dei fiori si aprì una vera e propria lotta di poteri: c’è anche una lettera del direttore del Mattino che, in modo ben poco delicato, invitava il Comune di Napoli a favorire le pretese del giornalaio ai danni del fioraio “…ma bisogna fare attenzione alle amicizie potenti del signor capodanno“.
Insomma: il generale salvò l’Italia e… il chiosco dei fiori di Piazza Vanvitelli.
Il ciuccio fiorito
Passò la guerra e anche nei momenti più bui della storia di Napoli il nostro chiosco si trovò protagonista: come ricordavano alcuni vecchi partigiani vomeresi, infatti, fu usato come riparo dagli insorti durante una sparatoria fra i militari tedeschi e i partigiani a Piazza Vanvitelli.
Ed è durante la rinascita postbellica che rifioriscono le belle memorie: poiché lo Stadio Ascarelli era ormai ridotto in cenere, il Napoli ricominciò a giocare prima nell’Orto Botanico, poi nello Stadio Collana. E il buon Capodanno ebbe una trovata geniale: creare un ciuccio fiorito da portare al centro del campo come mascotte benaugurale per le partite del Napoli. In effetti, andò bene: una foto di un Napoli-Roma 2-1 del 25 maggio 1946 vede proprio come protagonista il ciuccio.
E Giuseppe sorprende tutti: “Vuoi sapere dov’è finito il vassoio che portava il ciuccio allo stadio?“. “Dove?” “Esattamente davanti a noi: è il tavolino che regge questi fogli: tutto ha una storia“.
Chi vuole male al chioschetto…
Giovanni ripete con orgoglio il motto di famiglia: “gli uomini vanno, tutto cambia, ma il chioschetto è sempre lo stesso“. E aggiunge: “Chi vuole male a questo luogo è condannato all’infelicità: rimarrà qui anche quando tutti noi non ci saremo più, perché il chiosco dei fiori di Piazza Vanvitelli non è solo un’attività commerciale: rappresenta la storia vivente del quartiere“.
Ed è proprio così: la stessa famiglia ha presieduto, come guardiani del tempo, lo stesso piccolo marciapiede di Piazza Vanvitelli per quasi 120 anni, passando dai tempi in cui il Vomero Nuovo era una cattedrale nel deserto di una collina fatta di campagne, con il caffé di Don Ciccio e il Ristorante Pallino, al quartiere commerciale moderno.
Si è passati dalle violette che le bisnonne acquistavano nel weekend per decorare i vestiti alle composizioni floreali per le spose del XXI secolo.
Ed il chioschetto è e rimarrà lì, unendo a bisnonni, nonni, genitori e figli attorno alla stessa presenza che accomuna cent’anni di umanità.
-Federico Quagliuolo
Tutte le fotografie sono state fornite dai proprietari del chiosco dei fiori di Piazza Vanvitelli
Un’iniziativa straordinaria del proprietario del chiosco di Piazza Vanvitelli: quando il Napoli Femminile giocava allo Stadio Collana, decise di rievocare la tradizione del ciuccio fiorito. In quel caso, dato che lo sponsor della squadra era Carpisa, si optò per una tartaruga fiorita. Che fu portata in campo simbolicamente dallo stesso ragazzo che, negli anni ’50, portava gli omaggi fioriti.
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