Grande freschezza, buona acidità, profumi intensi: quando si degusta un Greco di Tufo è impossibile non riconoscerne la personalità. Si produce dall’omonimo vitigno a bacca bianca ed è una delle 4 DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita, il più alto riconoscimento di tutela per un vino) campane. Proprio per tale tutela è possibile oggi produrlo solo in alcune zone del territorio avellinese, secondo strette regole che ne disciplinano la qualità di produzione. Grazie alle sue proprietà organolettiche esuberanti, è uno dei pochi vini bianchi italiani che ben si prestano e beneficiano di un lungo invecchiamento, procedura di solito più inerente ai vini rossi; è inoltre uno dei migliori vini bianchi di base per la spumantizzazione al sud d’Italia: secondo il disciplinare è infatti consentita la versione spumante metodo classico, un metodo che prevede la rifermentazione in bottiglia ed un riposo sui lieviti di produzione per almeno 36 mesi.
Aminea Gemina, antenata del Greco di Tufo
La storia del Greco di Tufo è antichissima. Come ci suggerisce il nome, il Greco di Tufo sarebbe giunto sulle coste campane durante le colonizzazioni greche, portato da questi dalla Tessaglia e diffuso inizialmente prevalentemente nell’area Vesuviana. Qui le uve greche, dette “Aminee”, trovarono il giusto ambiente pedoclimatico per crescere e prosperare. Tra queste vi era una particolare varietà che aveva la peculiarità di produrre numerosi grappoli “gemelli”, doppi. Da ciò le si attribuì il nome di “Aminea Gemina“. Tale varietà altro non sarebbe che proprio il nostro Greco di Tufo che ha nella presenza di grappoli doppi una delle sue più macroscopiche caratteristiche. A tal proposito l’ampelografo Ferrante nel suo “Un vitigno di antica nobiltà: Il Greco del Vesuvio o Greco di Tufo : (Aminea gemella L.G.M. Columella): note ampelografiche ed esperienze di vinificazione” del 1927, scrisse: “che la varietà detta Greco del Vesuvio o Greco di Tufo sia l’Aminea Gemella, tanto stimata nell’antichità, non v’è dubbio. La diffusione di essa è nella stessa zona che occupava in antico, la tradizionale bontà del suo vino e dalle caratteristiche biomorfologiche mantenutesi costante nei secoli. E’ coltivato esclusivamente in alcune zone delle provincie di Avellino e Napoli. Può dirsi sconosciuto altrove“.
L’arrivo del vino greco a Tufo, la nascita di un idillio
Il Greco di Tufo deve il suo attuale nome a Tufo, un piccolo paese irpino, divenuto un importante luogo di estrazione mineraria nel 1866 quando, Francesco di Marzo, scoprì numerosi giacimenti di zolfo. Questo borgo deve a sua volta il proprio nome al celebre ed omonimo minerale. La grande presenza di tufo e zolfo ben si spiega data l‘origine vulcanica di questo territorio, non è raro infatti trovare in Irpinia sorgenti sulfuree; la presenza ed il contatto costante con lo zolfo, gioverà anche al movimento enologico, con la nascita e la diffusione della tecnica della “zolfatura” che permetteva, tramite l’utilizzo di zolfo sulle viti, di proteggerle da agenti dannosi. Con lo sviluppo commerciale ed industriale di Tufo, la rete ferroviaria si ampliò (prese successivamente il nome proprio di “ferrovia del vino” per l’importanza che aveva nell’indotto) e sempre più persone vi ci si trasferivano, portando con sé delle viti di quel famoso vino greco del Vesuvio. Un florido polo industriale, infrastrutture, un eccellente sottosuolo vulcanico, questi furono probabilmente gli ingredienti per la nascita un idillio che ha portato il Greco di Tufo a divenire in poco tempo un vino unico e dal florido mercato: nel XIX secolo vi era una produzione stimata di un milione di ettolitri. Il Greco di Tufo oggi è un vino esportato ed apprezzato in tutto il mondo, un’eccellenza campana tutelata e dal brillante futuro.
Umberto Rusciano
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