Il Cimitero delle Fontanelle: tra capuzzelle e anime pezzentelle
Print Friendly, PDF & Email

Quante volte avete sentito parlare del Cimitero delle Fontanelle? E quante altre delle “capuzzelle”? Bene, mettetevi comodi; è arrivato il momento di raccontarvi tutto, ma proprio tutto, su questo angolo di storia napoletana.

Cimitero delle Fontanelle

Partiamo dal nome

Perché si dice “delle Fontanelle”? Non pensate a vecchie piccole fontane, piuttosto, bisogna fare riferimento a vari “corsi d’acqua” che partivano dalla collina napoletana. Infatti, dai cosiddetti Colli Aminei si diramavano quattro impluvi che, nel corso dei secoli, hanno eroso i banchi tufacei, portando con sé acqua piovana, fango e detriti: la “Lava dei Vergini”, chiamata così per l’omonimo rione nato successivamente.

Il fenomeno della “lava” fu definitivamente risolto solo negli anni Cinquanta, grazie all’intervento dell’allora sindaco, Achille Lauro e del Capo dell’Ufficio Fognature, Guido Martone, il quale capì che gli allagamenti del quartiere Sanità erano dovuti a questo “torrente”, che partiva dalla collina e che, a causa di un’ostruzione della rete fognaria nella zona di Piazza Cavour, non defluiva verso il mare.

Cos’era prima di essere un cimitero?

La presenza di questi impluvi aveva reso quest’area una vera e propria cava di tufo, utilizzata, pertanto, fin dai secoli più remoti per l’estrazione dei mattoni, utilizzati per la costruzione della città, potendo contare su una cava dalle dimensioni enormi: un’area di circa trentamila metri cubi.

Quando e perché diventa Cimitero?

Questa cava modificò la sua funzione in seguito alle disgrazie subite dal popolo napoletano: la prima, legata alla peste del 1656 e la seconda, legata al colera, avvenuta nel 1836-37 e nel 1884. Ma procediamo con ordine.

La peste bubbonica arriva a Napoli dalla Sardegna, dove a sua volta era arrivata dalla Spagna nel 1652. Fu un’epidemia atroce, che provocò un numero di morti impressionante, decimando completamente la popolazione napoletana. Basti pensare che su circa 450.000 abitanti ne perì più della metà e la cifra sembra essere arrotondata per difetto, a causa della morte anche di molti che erano deputati ad accertare e ad aggiornare il numero delle vittime.

Dove posizionare, quindi, un così gran numero di morti? Ecco che la cava delle Fontanelle divenne cimitero, proprio per le sue enormi dimensioni e la sua posizione, nel vallone della Sanità, appena fuori le mura della città. Stessa sorte le toccò in occasione dell’epidemia di colera, che ebbe una seconda ondata ben più drammatica della prima, con un numero di morti addirittura triplicato e un numero totale di decessi, tra prima e seconda ondata, di circa ventimila.

Nulla, si dirà rispetto alla peste del 1656, ma è pur vero che fu un numero così alto, in così poco tempo, che divenne nuovamente necessario l’utilizzo del Cimitero delle Fontanelle, per accogliere i corpi di quanti trovarono la morte. Lo stesso avvenne, ancora, con il ritorno dell’epidemia di colera del 1884: più di settemila vittime, in soli due mesi e mezzo.

Anche in questo caso, si dirà che il numero di vittime fu più limitato, ma per fare una proporzione basti pensare che in tutta Italia furono quattordicimila. Pertanto, a Napoli, si dovette trovare in meno di due mesi, lo spazio per la metà dei morti che furono provocati nel resto d’Italia e, così, fu utilizzato, ancora una volta, il cimitero delle Fontanelle.

La carestia del 1764

L’architetto Carlo Praus racconta che, nel 1764, una tragica carestia si abbattè su tutto il Regno provocando decine di migliaia di morti, al punto che il Cimitero delle Fontanelle fu scelto dal Comitato di Pubblica Sanità per seppellire le salme della popolazione bassa, che non trovavano posto nelle pubbliche sepolture. A ciò si aggiunse che sempre in quell’ “annus horribilis” anche il tifo lasciò per strada numerose vittime, specialmente nella popolazione più povera, già provata e debilitata dalla mancanza di cibo.

Quando furono riordinati i teschi e da chi?

L’ossario delle Fontanelle rimase abbandonato fino al 1872, data in cui don Gaetano Barbati, insieme a pie donne e a un noto avvocato penalista, Pasquale Placido, ottenne l’autorizzazione dal Comune di riordinare il cimitero. Fu così che migliaia di ossa e teschi furono ripuliti, riordinati e ammassati sui lati delle gallerie tufacee che presero il nome di “navate”, proprio come quelle di una Chiesa. In un primo momento, fu ricavata una Chiesa provvisoria nella prima cava sgombrata dalle ossa e fu anche celebrata una prima messa il 13 maggio 1877, alla presenza del Cardinale Sforza.

A fine Ottocento, poi, fu costruita una Chiesa proprio nei pressi dell’ingresso della cava e fu dedicata a Maria Santissima del Carmine. Com’è suddiviso il Cimitero delle Fontanelle?

La navata centrale è dedicata agli “appestati”, che ospita le ossa di coloro che trovarono la morte a causa delle epidemie di peste e di colera. La navata di sinistra, è chiamata “d’ ‘e prievete”, non solo perché è dedicata a don Barbati per la sua opera di riordino e di “pietas”, ma anche perché accoglie i resti provenienti dalle terresante di chiese e congreghe, essendo stato ordinato, nell’anno del colera del 1837, di trasportare qui gli ossari di parrocchie e confraternite. La navata di destra, invece, fu denominata “dei pezzentelli”, proprio perché vi furono conservati i resti delle persone più povere.

Come nasce il culto delle “anime pezzentelle” e delle “capuzzelle”?

A Napoli, si sa, la pietà popolare – termine utilizzato per esprimere l’atteggiamento di coloro che nutrono rispetto e amore per i propri antenati – è da sempre molto sentita. Il perché è molto semplice: i napoletani hanno sempre “cercato una grazia” che potesse risollevare le loro sorti e l’idea che le “anime del Purgatorio” potessero esaudire questa richiesta, in cambio “d’ ‘o refrisco”, ha da sempre avvalorato quest’immaginario collettivo.

L’occasione del riordino delle “capuzzelle”, termine utilizzato per identificare i teschi di quanti trovarono una sistemazione nel cimitero delle Fontanelle, apparve subito propizia. “ ‘E mmaste”, le donne del popolo napoletano che avevano iniziato ad adottare i teschi, erano chiamate a pulirli e pregare per donare il  cosiddetto “refrisco”, cioè il refrigerio, alle anime. Il termine “pezzentella” nasce proprio da questa pratica e deriva dal latino “petere”, cioè “chiedere per ottenere”.

L’anima della capuzzella adottata, essendo anonima, abbandonata, senza degna sepoltura, proprio per questa sua condizione di “sospensione” invoca il “refrisco” per l’alleviamento della pena e per uscire al più presto dal Purgatorio, guadagnando prima il Paradiso, mentre colui che l’adotta chiede le grazie per sé e per la propria famiglia.

Al momento dell’adozione si metteva un fazzoletto sotto al teschio e un rosario accanto. Se l’anima si manifestava attraverso un sogno, la pia donna cambiava il fazzoletto mettendo un cuscino e se la grazia avveniva allora si poneva il teschio in una teca aperta, per dare importanza a quella capuzzella. Qualora, invece, la capuzzella non fosse stata in grado di “esaudire” le richieste, veniva girata verso il muro, ed è per questo che sono stati ritrovati molti teschi in posizione diversa, rivolti con la faccia al muro, come se fosse stato messo in castigo o declassato.

Donna Concetta: la capuzzella che suda nel Cimitero delle Fontanelle

Tra le capuzzelle più importanti, una nota di merito va certamente a Donna Concetta. Si tratta di un teschio che, essendo più lucido degli altri, sembra che sudi. Nell’immaginario collettivo ciò rappresenterebbe la fatica che l’anima del defunto compirebbe per ascendere dal Purgatorio al Paradiso, ma in realtà ciò è dovuto sia all’umidità e alla condensa che si crea, sia alle continue mani che strofinano il teschio in cerca di una grazia.

La credenza vuole che se la mano si inumidisce significa che la richiesta è stata accolta, se resta asciutta invece che è stata rifiutata. Sembra che il nome di Donna Concetta faccia riferimento alla prima devota che, rivolgendosi alla capuzzella in quanto non riusciva ad avere figli, ottenne la grazia di mettere al mondo dei bambini facendo sì che il teschio divenisse poi “famoso” per la richiesta di tale grazia.

Nel 1969 la Chiesa proibisce il culto delle capuzzelle

Alla Parrocchia delle Fontanelle, già dagli anni Cinquanta, c’era un parroco di nome Vincenzo Scancamarra, che riscuoteva una grande adesione soprattutto tra i giovani. Negli anni capisce che la situazione delle anime pezzentelle stava sfuggendo di mano, che sta diventando sempre più qualcosa tra l’esoterico e il pagano, e porta avanti la decisione di vietarne il culto.

E così, il 29 luglio del 1969, il Tribunale Ecclesiastico per la Causa dei Santi, attraverso l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Francesco Ursi, prende atto di tale richiesta e sentenzia che non sono ammessi culti verso resti umani anonimi, ma solo verso reliquie riconosciute come tali dalla Chiesa.

Ovviamente, la decisione non riscosse subito il favore del popolo; don Vincenzo venne trasferito a Forcella, e alle Fontanelle arrivò don Renato De Simone, il quale convocò i fedeli proprio per affrontare quest’argomento, spiegando che la sentenza non voleva vietarne il culto verso le anime del Purgatorio, ma solo regolarlo: niente più culti individuali, ma una Messa al mese per tutte le anime e una processione nel giorno dei morti, tra le navate che accolgono le capuzzelle.

L’assemblea, protrattasi fino a tarda sera, si concluse positivamente. L’accordo fu raggiunto e col passar degli anni le manifestazioni più folkloristiche diminuirono drasticamente, fino ad arrivare ad oggi, dove il cimitero delle Fontanelle è diventata meta di turisti e visite guidate.

L’ultima curiosità sul Cimitero delle Fontanelle

Eppure, tra più di quarantamila resti anonimi di persone che hanno lasciato questo mondo senza la possibilità di conservare le proprie spoglie in un modo più dignitoso, ve ne sono solo due conosciute e alle quali è stato possibile risalire. Entrambi gli scheletri sono ben conservati in bare protette da vetri e appartengono a Filippo Carafa, Conte di Cerreto dei Duchi di Maddaloni, morto il 17 luglio 1797 e a Donna Margherita Petrucci, nata Azzoni e morta il 5 ottobre 1795.

Il teschio della donna è diventato famoso per la particolarità di avere ancora la bocca aperta, al punto che i napoletani hanno legato tale dettaglio alla leggenda che fosse morta soffocata da uno gnocco. Ma perché i resti di due nobili sono finiti qui, tra quelli di gente povera e tra le ossa di chi fu colpito dalla peste e dal colera?

In verità, non si sa se è stata una loro espressa volontà, ma poco importa; forse è la degna conclusione di una storia ambientata a Napoli, dove – come scriveva Totò ‘a morte è na livella!

Donna Margherita Petrucci al Cimitero delle Fontanelle

Fonti:

https://www.cimiterofontanelle.com/it/home-ita/la-storia.html

https://www.comune.napoli.it/cimitero-delle-fontanelle

Carestia ed epidemia del 1763-’64 in Capitanata – Giovanna Da Molin

Il Cimitero delle Fontanelle Una storia Napoletana – di Rocco Civitelli – Libreria Dante & Descartes

Diventa un sostenitore!

Storie di Napoli è il più grande ed autorevole sito web di promozione della regione Campania. È gestito in totale autonomia da giovani professionisti del territorio: contribuisci anche tu alla crescita del progetto. Per te, con un piccolo contributo, ci saranno numerosissimi vantaggi: tessera di Storie Campane, libri e magazine gratis e inviti ad eventi esclusivi!

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *