È stato uno dei poeti più amati del mondo antico, addirittura Dante lo cita come suo maestro nel Purgatorio: Publio Papinio Stazio era un poeta napoletano che visse fra il 40 e il 96 e che dedicò proprio alla sua città natale numerosissimi versi d’amore. Addirittura dedicò una poesia anche ad una strada, la Via Domiziana.

Era innamorato perso della città e di sua moglie. E passò anni interi a tentare di convincere la romana Claudia a trasferirsi a Napoli assieme a lui. Alla fine ci riuscì.

Publio Papinio Stazio
Un ritratto immaginario di Publio Papinio Stazio

“fai quello che ti piace e non lavorerai nemmeno un giorno della tua vita”

Neapolis, ai tempi dell’antica Roma, era una città ricca e privilegiata: si poteva ancora parlare in greco e, soprattutto, conservava numerosissime tradizioni antiche che la rendevano non solo una delle città di vacanza più amate dai nobili romani, assieme a Baia, Pompei e Stabiae, ma anche il polo culturale più vivace della Campania Felix.

Il nostro Stazio crebbe qui, sotto gli insegnamenti di un padre maestro di retorica e in una Napoli che era diventata il polo culturale più vivace della Campania imperiale.
Anche se cominciò a lavorare come letterato sin da piccolissimo, le sue soddisfazioni lavorative arrivarono intorno ai 30 anni: lui stesso ci racconta, carico di nostalgia, che il suo primo trofeo lo ottenne proprio nei Ludi Augustali di Napoli, che dice essere talmente belli da pareggiare i Ludi di Roma in termini di grandezza e levatura.
Si dice che Stazio fosse davvero un bell’uomo: alto, molto raffinato nei modi e nei lineamenti, dalla bella voce e dalla presenza allegra e piacevole. Era praticamente perfetto per essere ospitato nei salotti culturali della nobiltà napoletana, come presenza lieta per un banchetto o per un ricevimento di festa.

Il padre, nel frattempo, continuava a tenere nella sua scuola di Napoli lezioni di Storia, grammatica e retorica, facendo grandi fortune. Tanto da tentare di sbarcare il lunario con un viaggio di sola andata nella Roma imperiale, per entrare nelle grazie dell’Imperatore Domiziano.
Chiaramente anche il figlio viaggiò con lui e, per un ventennio, visse la ricchissima vita della Capitale fra alti e bassi: a Roma compose i poemi che lo hanno reso famoso, la Tebaide e l’Achilleide, e addirittura un intero libro dedicato alle gesta dell’imperatore contro i barbari germanici, il De Bello Germanico, che è ormai perduto. Tantissimi poemi su commissione, invece, li raccolse nelle “Silvae“, dove ci sono commemorazioni per compleanni, nascite, eventi pubblici o altre situazioni interessanti per la socialità del mondo antico. Proprio qui troviamo numerosi riferimenti a Napoli.

Neapolis Antica Roma
Neapolis ai tempi dell’antica Roma

La Napoli di Stazio

Anche se buona parte della sua vita adulta la passò a Roma in cerca di fortune come un libero professionista della poesia, Stazio continuava ad amare in modo incondizionato Napoli e non ha mai perso occasione per ricordarlo.
Nella sua poesia, troviamo parole di miele per la sua città in ogni occasione. Ad esempio, quando il Vesuvio eruttò, distruggendo per sempre Ercolano, Pompei e Stabiae, fu tanto commosso da dedicare parole di conforto a Napoli, “sepolta dalla cenere e pronta a rialzarsi“.

La Neapolis del I secolo è raccontata in modo meraviglioso da Stazio, che per giunta è l’unico poeta del suo secolo che ha tramandato un corposo numero di scritti: era una città che, nonostante la vicinanza alla Roma imperiale, aveva conservato alla perfezione moltissimi tratti greci. Si praticava ancora la scuola epicurea, che nel resto d’Italia era proibita, si parlava ancora in greco negli ambienti colti e molte cerimonie risalenti ai tempi della Magna Grecia erano rimaste ancora celebrate.

Nelle sue poesie, Stazio cita anche alcuni luoghi che oggi in qualche modo esistono ancora: la meraviglia dei “due teatri, uno di fronte all’altro“, ovvero il Teatro di Nerone che si trova oggi per metà sotto terra, oppure il Tempio dei Dioscuri, divinità greche, che invece oggi è sopravvissuto solo nelle colonne della chiesa di San Paolo Maggiore a Piazza San Gaetano. Ci racconta anche che, dopo l’eruzione del Vesuvio, la città iniziò a vivere degli enormi problemi di sovraffollamento dati dai profughi provenienti dalle città distrutte. Nonostante tutto, i napoletani sono da ammirare perché “non hanno mai chiuso le porte della città in faccia a nessuno“.

Notiamo anche una curiosità: Stazio chiama quasi sempre Napoli col nome di “Partenope“, l’antica colonia greca che fu proprio sconfitta dalla vicina Neapolis, che poi prese il sopravvento. Un ulteriore elemento che ci fa capire come Napoli, in realtà, sia rimasta un’enclave greca nel cuore dell’impero anche secoli dopo la sua conquista.

“Laggiù aleggia una pace serena, la vita è comoda e rilassata
e il riposo, non mai turbato, può protrarsi in sonni tranquilli.
Non vi sono accaniti comizi, né le leggi divengono strumento di attaccabrighe: nei cittadini è innato un costume di vita rispettoso della legge, né c’è bisogno della forza per realizzare la giustizia”

Publio papinio stazio, silvae

Claudia, vieni a Napoli!

La poesia di Stazio più famosa dedicata a Napoli, però, è senz’altro quella dedicata ai due amori della sua vita: Claudia, la moglie, e Partenope, la città.
La compose probabilmente dopo una gara, forse i ludi Capitolini, sicuramente persa. Per lui, che aveva un carattere tanto brillante quanto orgoglioso, la sconfitta fu devastante. E probabilmente quest’evento negativo lo privò anche della grazia imperiale.
Aveva ormai 50 anni e gli saliva, giorno dopo giorno, una nostalgia sempre maggiore della sua città e delle bellezze della Campania Felix. Della vita mondana, caotica e frenetica della città Caput Mundi, proprio non ne voleva più sapere.

L’unico problema era convincere la moglie, una cantante romana, a mollare la sua città natale per trasferirsi a Napoli. Per far ciò era necessario il massimo sforzo retorico e, senz’altro, con questa poesia dedicata proprio alla sua donna, siamo certi che abbia avuto una vita più facile del previsto.

Anche perché ci è giunta una lettera destinata al suo amico Pollio Felice, che viveva a Sorrento in località Puolo (ancora oggi è presente la sua villa!) in cui descriveva i retroscena che hanno portato la scrittura della poesia, definita “un predicozzo” dallo stesso Stazio, disperato perché Claudia proprio non aveva intenzione di mollare la sua vita a Roma.

Nel frattempo, da buon libero professionista della poesia, a Napoli tornò a lavorare a pieno regime: anche da adulto, perduti i tratti dolci da ragazzo, fu molto amato e apprezzato in tutti i banchetti della nobiltà locale: non c’era napoletano che, dopo aver organizzato una bella festa, non desiderasse chiamare il poeta Stazio per allietare i suoi ospiti.

Alla fine Stazio riuscì a coronare il suo sogno di pensionamento: morì proprio a Napoli nel 96 e lui stesso, ormai adulto, ci racconta come, ormai adulto, amasse seguire i ludi Augustali di Napoli come spettatore, gli stessi che vinse da giovane e che diedero l’avvio alla sua carriera.

Pure la nostra sirena vedrai, Partenope, alla quale, condotta di qua dal mare, lo stesso Apollo indicò con la colomba Dionea il fertile suolo. A questa mia sede natale io ti invito. Qui è mite l’inverno e fresca l’estate: qui con le onde sue lente batte il mare tranquillo, ed è la pace sicura e il dolce far niente e una quiete senza fine; e si dorme qui, tanto!

Publio Papinio stazio, “lettera alla moglie”
Dante e Stazio nel Purgatorio
Dante e Stazio nel Purgatorio

Un grosso errore

Proprio il Sommo Poeta, uno dei massimi estimatori di Stazio, è caduto in un bel falso storico nella sua Commedia: Dante scrive infatti che il poeta napoletano è nato a Tolosa, quando in realtà è certamente nato ai piedi del Vesuvio, che lui stesso omaggia continuamente nelle sue poesie e che, con molta chiarezza, indica come sua terra natale.

-Federico Quagliuolo

Riferimenti:
Publio Papinio Stazio, Silvae
A. Traglia, G. Aricò, Publio Papinio Stazio – Opere, UTET, Torino, 1980
https://digilander.libero.it/nonnatrastulli/Napoli%20e%20Stazio.pdf

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  1. VITALIANO VAGNINI Avatar
    VITALIANO VAGNINI

    (Il mio viaggio a Napoli)

    “NUN TE PREOCCUPÀ!”

    Vi narro cosa a Napoli ho imparato
    In un solo giorno guidando o passeggiando,
    Fra un barbone, un ricco ed un soldato,
    semplicemente sbirciando ed ascoltando

    Cose che al nord ci creano tensioni,
    che tolgono il sonno e generano ansietà,
    Ma non per chi vive fra i botti e le canzoni
    Come l’allegra gente che vive proprio qua

    Ammiro la montagna Vesuviana,
    Che si specchia su un mar che toglie il fiato
    e fuma sempre, ma non la marijuana,
    e lungo il viale passeggia ogni innamorato

    Entro in un Bar per fare colazione
    E sento: “C’è u cafè sospeso. U vole stu caffè?”
    È la voce del barista che mi dedica attenzione,
    Ma io, sorpreso, guardo in alto per veder dov’è.

    Il barista chiede: “Ma lei non è di qui?
    U cafè suspeso… è già pagato,
    Ma viro che nun intende chillo c’aggià dì!
    Chillo che lo dona, vole che sia regalato!”

    Fuori sento schiamazzi e grida di persone
    E il barista mi dice: “Nun te preoccupà.,,,”
    Gli chiedo il motivo di questa confusione
    E lui dice: “È nostra usanza chilla d’alluccà.”

    Riprendo il viaggio cercando di capire
    Guidando in queste vie che generano tensione
    Dove, per questo vivace e gioioso modo di agire,
    Occorrono cento occhi e tantissima attenzione

    Al semaforo c’è il verde, ma sono in stallo,
    Perché dall’altro lato tutti passano col rosso,
    Quindi mi fermo, e intanto arriva giallo,
    E temo che qualcun mi viene addosso

    Dall’auto dietro a me scende un uomo bruno
    E con far gentil mi parla al finestrino:
    “Abbiamo solo tre colori, ne scelga uno”
    Poi torna tranquillo a sedersi sul pulmino.

    Vendono ogni cosa nei negozi e pure per la via
    Stesi su teli vedi, cinte e mutande nei cestelli,
    Son tutti impegnati a promuover l’economia
    e se poi piove sostituiscono la merce con ombrelli

    Nulla li turba e non temono il futuro
    Risate e canti senti venir da ogni finestra
    Anche se la terra trema fendendo il muro
    Provano gioia per una pizza o una minestra.

    Noi siam diversi e molto negativi,
    Viviamo male tutti i tristi eventi
    Sembriamo morti anche quando simo vivi
    E raramente ci vedono contenti

    Vediamo crescere nel mondo il malaffare
    Fra le false promesse di chi governa
    E sappiamo che se fuggi, rischi d’affogare
    E l’egoismo regna

    Si muore di violenza urbana o casalinga,
    Muore la speranza nel vecchio che ha aspettato
    Muore mentre s’inietta al braccio la siringa,
    Il giovane drogato

    Svanisce nel mondo l’allegria
    Ma l’orgoglio ne impedisce l’ammissione
    Ognuno finge gioia con rituale ipocrisia
    Mentre nasconde delusione

    Vorrei attingere da Napoli quel genuino brio
    Che in nessun altro paese qualcuno troverà,
    Dove ognun dice, al camorrista o a Dio:
    “Nun te preoccupà!”.

    Vitaliano Vagnini (25 maggio 2024)

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