Dalla Terrazza di Sant’Antonio a Posillipo è imponente il paesaggio di cui è possibile godere e ammirare, che definiamo una cartolina perché attrae numerosissime persone a fotografare e fotografarsi con alle spalle un panorama mozzafiato ad ogni ora del giorno. Con una visuale completa su tutto il golfo di Napoli, si assapora un’atmosfera distesa e romantica rispetto alla frenesia che anima le vie della città.
Terrazza di Sant’Antonio
La terrazza di Sant’Antonio, da cui prende il nome dall’omonima chiesa antistante, è frequentata soprattutto per il panorama che si può ammirare, ma pochi conoscono la sua storia.
La terrazza fu edificata durante gli anni Sessanta del secolo scorso, è denominata gergalmente “’e 13 sces”, letteralmente “le13 discese”. Sorge sulla collina di Posillipo, uno dei quartieri più eleganti di Napoli, che rappresenta da sempre il simbolo della Napoli bene, con le più belle e sontuose ville della città e parchi dalla magnifica e varia vegetazione.
La terrazza si affaccia su tutto il Golfo, che appare come un grande lago circolare, cinto dalla marina di Napoli e di Torre del Greco, dalla Penisola Sorrentina e da Capri. Anche la vista sul Vesuvio e il Monte Somma è frontale, ci da l’impressione che questo abbracci tutta l’area.
Guardando l’area sottostante alla terrazza possiamo intravedere le vie sempre trafficate della città: la zona di Mergellina che si raggiunge percorrendo le 13 rampe, che vennero costruite su una preesistente strada greco-romana. La costruzione fu commissionata nel 1663 dal Viceré del tempo duca di Medina Ramiro Nunez de Guzman, per agevolare il pellegrinaggio alla chiesa di Sant’Antonio. La strada si configura in una serie di rampe con curve a gomito e contandole ci accorgiamo che in realtà non sono 13 ma 14.
Chiesa di Sant’Antonio
All’apice delle rampe di Sant’Antonio ammiriamo la chiesa santuario omonima, costruita nel 1642 dai frati conventuali del Terzo Ordine Regolare di San Francesco. Il quartiere di Posillipo all’epoca comprendeva quattro villaggi rurali e non era assolutamente come lo conosciamo noi oggi, ma una grande distesa verdeggiante dove prevaleva l’attività agricola.
Poco collegata con la città, l’unica strada percorribile era quella greco-romana, che collegava la collina con la zona di Mergellina. Proprio per la posizione in cui fu costruita, inizialmente la chiesa aveva funzione di Sanatorio con un piccolo convento annesso.
Grazie alle donazioni dei fedeli la chiesa venne abbellita negli anni: la struttura comprende una navata centrale con tre cappelle laterali per ciascun lato, nell’abside vi è l’altare maggiore policromo su cui poggia l’antica statua lignea del Santo. All’ingresso a sinistra c’è il dipinto olio e oro su tavola con la cornice lignea intagliata e dorata della Vergine della purità, dipinto trafugato il 31 agosto 2001 su commissione di un ricettatore, e per fortuna recuperato grazie all’intervento dei carabinieri tutela patrimonio culturale e restituito alla chiesa nel 2017.
A destra c’è il dipinto di sacro cuore di autore ignoto. Il campanile a pianta rettangolare, con cella campanaria ottagonale che sostiene una cuspide in stile barocco, fu costruito nel 1754 ed è ancora svettante tra i palazzi moderni, edificati durante l’urbanizzazione del quartiere.
Durante il periodo napoleonico tutti gli ordini religiosi furono soppressi, la chiesa divenne proprietà del Demanio e fu destinata ad attività civili, nonostante fosse stata affidata ad un rettore ex-domenicano. Dopo la caduta di Napoleone, nel 1824 Ferdinando II di Borbone, molto legato ai domenicani, affidò il santuario a quest’ordine religioso.
Ciò che incuriosisce è che nella chiesa convivono sia iconografie di santi appartenenti all’ordine dei francescano, sia di santi appartenenti all’ordine domenicano, testimonianza della convivenza dei due ordini sacerdotali seppur in periodi differenti.
Ce lo dimostra la volta a botte affrescata da Gaetano Bocchetti, che rappresenta S. Antonio, da sempre legato all’ordine francescano, nella gloria della Trinità tra Angeli e Santi al centro e lateralmente nelle lunette ritroviamo i Santi Domenicani.
Nel 1944 l’arcivescovo Alessio Ascalesi vi costituì la parrocchia, che assunse man mano importanza nel tempo, grazie al nuovo assetto urbanistico della zona.
Nel 1975 vennero eseguiti importanti lavori di restauro e consolidamento a cura del domenicano padre Tommaso Tarantino: in chiesa si abbatté dapprima il pulpito, il trono in cartapesta ed il coro ligneo. Poi toccò all’aula, che venne ampliata con la creazione di una volta posteriore all’abside, si arretrò l’altare maggiore smantellando la balaustra e gli altari laterali. Si persero le tracce della vecchia pavimentazione e delle botole di accesso alle cripte, poiché il tutto venne ricoperto della nuova pavimentazione in marmo, si riaprirono gli archi del chiostro e si pavimentò il vecchio giardino centrale.
Bibliografia
Napoli e dintorni, Touring Club Italiano, Touring Editore, Roma 2008.
La storia di Napoli, V. Gleijeses, Società Editrice Napoletana, Napoli, 1978
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