belvedere di san leucio foto di rita d'agostino
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Il Belvedere di San Leucio ha una storia molto particolare e interessante. Oggi ospita il Museo della seta, ma nel Settecento era una fabbrica che inglobava anche l’appartamento reale.

Com’è possibile che un appartamento reale si trovi all’interno di una fabbrica?

Belvedere di San Leucio - foto di Rita D'Agostino
Belvedere di San Leucio – foto di Rita D’Agostino

Tutto nasce con Ferdinando IV di Borbone. Il Re Nasone era un grande amante della caccia e i Monti Tifatini nel Settecento erano pieni di boschi e ricchi di selvaggina, come cinghiali e vari tipi di uccelli.

In particolare, il Monte San Leucio era molto frequentato per le battute di caccia, in quanto era facilmente raggiungibile dalla Reggia di Caserta.

Alle pendici di questo monte, in località Vaccheria, Ferdinando IV fece costruire un casino di caccia, chiamato poi Casino Vecchio, per distinguerlo dal Casino nuovo, ovvero dal Palazzo del Belvedere di San Leucio, in quanto in questa residenza vi morì l’erede al trono Carlo Tito. Ferdinando, completamente scosso da questo funesto evento, decise di trasferirsi nel Palazzo del lo Bello Vedere, distante di poco e più vicino al parco della Reggia.

Il Belvedere di San Leucio prima di Ferdinando IV

Nel XVI secolo esisteva un palazzo chiamato Palazzo de lo Bello Vedere, per l’incredibile colpo d’occhio che si poteva ammirare fino all’isola di Capri e Napoli. Questo edificio era stato costruito per i principi di Caserta, la potente famiglia Acquaviva, che ha avuto molta importanza nella Caserta rinascimentale.

Nella seconda metà del Settecento, con l’avvento sul trono di Napoli di Carlo di Borbone, lo Stato di Caserta cambiò proprietario.

Re Carlo, quando decise di costruire una nuova reggia vicina a Napoli, ma protetta dagli attacchi via mare, comprò dai Caetani di Sermoneta, successori degli Acquaviva, lo Stato di Caserta, che comprendeva anche il palazzo del Belvedere di San Leucio.

Fu poi Ferdinando IV, che si recava sui monti Tifatini a cacciare, a ordinare all’architetto Collecini la ristrutturazione del palazzo degli Acquaviva e il suo allargamento, per destinarlo a Fabbrica di Seta con all’interno un appartamento reale.

Il Belvedere di San Leucio è un palazzo unico al mondo: è una fabbrica, in questo caso di seta, che allo stesso piano, separate solo da una porta, ha le stanze dell’appartamento reale.

Inoltre, il Belvedere di San Leucio è la residenza borbonica più vicina alla Reggia di Caserta e ad essa era collegata tramite una strada che è stata murata nel secondo dopoguerra.

Pianura campana con Vesucio, Capri e Napoli vista dal Blevedere di San Leucio
Pianura campana con Vesuvio, Capri e Napoli vista dal Belvedere di San Leucio

Sezione di Archeologia Industriale

La produzione della seta consiste in varie fasi, che avvenivano tutte nel Belvedere di San Leucio.

La bachicultura è la fase che si occupa dell’allevamento del baco da seta. Quest’insetto mangia le foglie del gelso e ha una vita che è composta da quattro fasi: uovo, larva, crisalide e farfalla. Quando la larva si chiude nel bozzolo, secerne una sostanza chiamata sericina, che compone il filo del bozzolo del baco da seta, che può raggiungere una lunghezza di circa 1,5 km.

Per far si chè il filo del bozzolo sia continuo, bisogna effettuare la stufatura, ovvero selezionare i bozzoli in base a determinate caratteristiche e metterli in forni per impedire alla crisalide di trasformarsi in farfalla e, in questo modo, spezzare il filo di seta che diventerebbe inutilizzabile.

Non tutti i bozzoli venivano sottoposti a stufatura, alcuni venivano fatti schiudere per permettere alle farfalle la produzione di nuove uova.

La fase successiva è la trattura, che consiste nell’immergere i bozzoli in pentole contenenti acqua calda per far sciogliere la sericina e favorire lo svolgimento del filo dai bozzoli. L’operaia, poi, aiutandosi con uno scopino, trovava i capifila dei singoli bozzoli e ne univa da 3 a 8 per formare il filo vero e proprio.

In seguito, il filo veniva avvolto attorno a aspi, formando delle matasse che venivano appese e messe ad asciugare.

Una volta asciutte, attraverso l’incannatoio, il filo delle matasse veniva avvolto intorno ai rocchetti e poi montati su macchine chiamate torcitoi. Su queste macchine avveniva la torcitura, la fase di lavorazione che serviva a rendere il filo di seta più forte e adatto ad essere lavorato al telaio.

Attualmente, al Belvedere di San Leucio è possibile ammirare due fedeli ricostruzioni di torcitoi, alti 7 metri e che nel XVIII secolo funzionavano grazie alla forza idraulica, utilizzando l’acqua dell’Acquedotto Carolino che tramite una deviazione, arrivava fino al Belvedere.

I due torcitoi sono ancora funzionanti e possono lavorare 1.200 rocchetti di seta contemporaneamente.

La fase successiva è la tintura. Le matasse venivano immerse in vasche che contenevano i colori disciolti in acqua. Nel Settecento i coloranti erano d’origine naturale, per esempio, dal melograno si otteneva l’arancione, il blu dal lapislazzuli, il marrone dal caffè e il verde dall’edera.

Inoltre, all’interno del Belvedere di San Leucio esistevano due tintorie. Ogni tessuto è costituito dall’intreccio di fili di trama con fili di ordito. Dopo la tintura, alcuni rocchetti venivano usati per la creazione dell’ordito, il filo verticale del tessuto. L’operaio azionava una manovella che faceva muovere l’orditoio che, girando su se stesso, si richiamava i fili dai rocchetti posizionati sulla cantra.

Lo scopo era di stabilire la lunghezza del filato. In seguito l’ordito veniva trasferito sul subbio, un grande rocchetto che poi veniva montato sul telaio.

Per il disegno invece, si realizzava prima un disegno artistico, che poi veniva trasferito su carta millimetrata e riportato su schede perforate tramite il processo della punzonatura, effettuato usando la macchina punzonatrice, che consiste in un tavolo su cui è posizionata una griglia.

Ogni quadratino del disegno su carta millimetrata corrisponde a un foro sulla griglia e l’operaio, basandosi sul disegno su carta millimetrata, contava i quadratini e forava il cartoncino nella griglia in corrispondenza del disegno.

In seguito, si cucivano insieme le varie schede perforate che contenevano il disegno e venivano lette dagli aghi della Macchina Jacquard, che veniva posizionata sopra al telaio. Al Belvedere di San Leucio la Macchina Jacquard arrivò solo nel XIX secolo.

Per la realizzazione della trama invece, si usava una ruota ad incannare: le matasse, tramite il movimento di una ruota di legno, venivano avvolte su un particolare tipo di rocchetto allungato, chiamato cannuccia. La cannuccia veniva poi inserita in una navetta e montata a telaio.

La fase di produzione del tessuto è la tessitura, effettuata con il telaio. Dal subbio posteriore i fili di ordito passano per i margheritini, i licci, il pettine e arrivano al subbio anteriore.

Al colpo del pedale dell’operaio, gli aghi della Macchina Jacquard si abbassavano e leggevano il disegno sulle schede perforate, facendo alzare alcuni fili di ordito in corrispondenza dei licci. L’operaio poi tirava la navetta con il filo di trama che si intrecciava al filo di ordito. Con la battuta, effettuata con il pettine a denti stretti, si compattavano i fili di trama e ordito.

Al Belvedere di San Leucio sono esposti nove telai borbonici per la produzione di damaschi, broccati e lampasse, restaurati e ancora funzionanti.

Dopo la tessitura, i tessuti venivano sottoposti alla rifinitura e decorati ai lati con la passamaneria. Oggi, le sete prodotte al Belvedere di San Leucio sono esportate in tutto il mondo e rappresentano un simbolo del Made in Italy.

Al Belvedere di San Leucio si producevano abiti, tappezzerie e copriletti in seta. La fabbrica di seta era regolata da un Codice leuciano firmato dallo stesso Ferdinando IV.

L’appartamento reale del Belvedere di San Leucio

Al primo piano, sullo stesso della Fabbrica della seta, e con essa comunicante, si trova l’appartamento reale. Si dice che uno degli ambienti più suggestivi del Belvedere di San Leucio sia il bagno della regina Maria Carolina. La vasca ovale, lunga 7 metri, è realizzata in marmo grigio di Mondragone, tipico per le sue sfumature bianche.

La vasca, che poteva contenere 72 botti d’acqua, era alimentata da una caldaia e Maria Carolina poteva scegliere tra acqua calda e fredda. Un’altra particolarità di questa piscina privata è che si trova al primo piano, cosa insolita in quanto di solito le vasche da bagno all’epoca erano costruite al piano terra.

La parete fu decorata da Jackob Filipp Hackert, primo pittore di corte di Ferdinando IV, con la tecnica a encausto, ottenuta mescolando i pigmenti in polvere alla cera d’api calda e fissati sulla parete.

Belvedere di San Leucio, Bagno grande di Maria Carolina - Foto di Ohmyjoint dalla pagina Facebook Tifatalive
Belvedere di San Leucio, Bagno grande di Maria Carolina – Foto di Ohmyjoint (Instagram) dalla pagina Facebook Tifatalive

La parete è decorata da 12 figure femminili danzanti, inserite in una cornice con motivi floreali. Si dice che per la realizzazione di queste figure, Hackert si sia ispirato a pitture che rappresentavano baccanti e che erano state ritrovate a Oplontis.

Continuando la visita al palazzo del Belvedere di San Leucio, troviamo la Camera da Pranzo, decorata da Fedele Fischetti con scene tratte dal mito ovidiano di Bacco e Arianna, un omaggio alla produzione del vino che all’epoca era molto ricca nella zona di San Leucio, che possedeva sei vigneti.

Al centro del soffitto, domina l’affresco “Trionfo di Bacco e Arianna“. Si dice che Arianna abbia il volto della giovane Maria Carolina, mentre nei quattro medaglioni posti nei quattro lati della sala troviamo l’”Allegoria delle quattro stagioni”.

Si dice anche che a Ferdinando IV la decorazione di questa sala non sia tanto piaciuta, poiché la riteneva troppo sfarzosa per un casino di caccia, luogo più intimo e familiare rispetto alla Reggia di Caserta, che era il palazzo di rappresentanza.

In effetti, questa sala presenta una decorazione in stile Rococò, mentre le decorazioni pittoriche delle altre stanze del Belvedere di San Leucio sono più sobrie: dominano le monocromie, i colori pastello, soprattutto il rosa, il verde e uno stile più neoclassico.

Stanza da toilette della regina nel Belvedere di San Leucio
Stanza da toilette della regina nel Belvedere di San Leucio, specchiera di manifattura napoletana e manichino che mostra l’intimo femminile del Settecento

Continuando la nostra visita, e dopo aver attraversato tre stanze che fanno parte dell’appartamento dei principini e quelle che dell’appartamento della regina, arriviamo nella stanza più luminosa del palazzo del Belvedere di San Leucio: la Stanza da letto delle loro Maestà, decorata da Cammarano.

Alla base della volta troviamo otto medaglioni che ritraggono divinità romane, mentre al centro c’è l’”Aurora che sparge i fiori“. A farle da sfondo, un finto arazzo di colore verde agganciato alla parete da spille color rame, che richiama i preziosi tessuti prodotti nella fabbrica del Belvedere di San Leucio. Da questa stanza, Ferdinando poteva ammirare una parte del suo Regno come la Reggia di Caserta, il Vesuvio, la penisola sorrentina, Capri, Napoli e i Campi Flegrei.

Belvedere di San Leucio, Camera da letto delle loro maestà - Aurora che sparge i fiori
Belvedere di San Leucio, Camera da letto delle loro maestà – Aurora che sparge i fiori

Un altro ambiente suggestivo del Belvedere di San Leucio è il coretto, decorato da Brunelli. Si tratta di una tribuna reale che si affaccia sulla chiesa di San Ferdinando Re, chiesa tutt’ora funzionante del borgo di San Leucio. Da qui, la famiglia reale poteva partecipare alla funzione sacra, senza dover recarsi in chiesa e da qui, si dice, che Ferdinando IV controllasse gli operai della fabbrica che erano andati a messa.

Usciti dal coretto, entriamo nell’appartamento del re. I documenti d’archivio ci dicono che era tappezzato di sete di San Leucio. Durante il periodo di abbandono del Belvedere, queste sale hanno subito delle modifiche, visto che le famiglie di operai che si erano trasferite nelle sale disabitate del palazzo adottarono dei cambiamenti agli ambienti.

Nella penultima sala, infatti, possiamo ammirare un pavimento dei primi decenni del XX secolo e il pavimento in cotto del XVI secolo, uno dei pochi elementi dell’antico Palazzo Acquaviva che è arrivato fino a noi.

I giardini del Belvedere di San Leucio

Usciti dall’appartamento reale, entriamo nei giardini del Belvedere di San Leucio. Si tratta di sette giardini terrazzati, che seguono i declivi del Monte San Leucio.

I giardini sono all’italiana, ovvero presentano una rigorosa divisione geometrica degli spazi attraverso siepi e sono anche giardini di delizia, in quanto già in età borbonica sono stati impiantati degli alberi da frutta. Troviamo limoni, aranci, meli, peri e melograni.

Possiamo ancora ammirare la cinta muraria che Ferdinando IV aveva fatto costruire per proteggere il Palazzo del Belvedere di San Leucio e la Real Colonia.

Bibliografia

Falcone, L., Caserta: guida alla città, Spring Edizioni, Caserta, 2021

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