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Com’è stata questa mia vita?“, domandò agli amici intervenuti per salutarlo. “Come ho recitato la mia parte, in questa commedia?“, continuava aggiustandosi i capelli con un pettine: “Se siete contenti applaudite battendo le mani“. Così si sarebbe congedato dalla vita terrena Caius Iulius Octavianus Augustus, alla storia passato come Ottaviano Augusto, figlio adottivo di Giulio Cesare e primo imperatore di Roma. Se Roma di queste e ben altre storie legate a re, senatori, dittatori e imperatori ne conosce abbastanza, Napoli ci sta spesso in mezzo, per un motivo o per un altro.

La morte di Ottaviano Augusto

Nato il 23 settembre del 63 a.C. a Roma, Ottaviano Augusto diede vita, a partire dal 27 a.C., ad uno degli imperi più importanti della storia e lo governò per più di 40 anni. Fin quando, il 19 agosto del 14 d.C., morì all’età di 75 anni a Nola, vicino Napoli.

Protagonista della sua uscita di scena fu sua moglie, l’amata Livia, la donna che lo aveva accompagnato per oltre cinquant’anni e che, suggeriscono i maligni, lo aiutò a morire con una punta di prezioso di veleno in saporiti fichi.

Statua di Ottaviano Augusto a Nola

Come detto, fu a Nola che Augusto venne indotto a morire dalla sua adorata moglie e finire i suoi giorni. Livia, infatti, si premurò che salisse al trono Tiberio, nato dal suo primo matrimonio con Claudio Nerone e dunque figlio adottivo dell’imperatore e designato come erede al trono due anni prima. Detto, fatto: dopo la morte di Augusto, Tiberio diventa il suo successore, primo imperatore di diritto dell’impero (dato che Augusto lo divenne per de facto).

Statua di Tiberio

Napoli, spettatrice dell’alba dell’Impero romano

La storia è tutta qui: Napoli assiste partecipe ad una morte e festeggia vittoriosa la nascita definitiva di un impero, passato per la prima volta di corona da padre a figlio.

Dopo la morte di Augusto, infatti, nessuno pensò minimamente a ripristinare il governo repubblicano e ne vi fu alcuno che non pensasse a Tiberio come successore: Roma diventava un trono di successione. E Napoli stava a guardare, tra i suoi baccanali greci, culla di cultura e di piacere, in attesa che l’uomo più importante dell’Impero andasse ad accarezzarne il piacere, abbellendola ed arricchendola, rendendola nuova capitale.

Tiberio, infatti, governò l’impero direttamente da Capri (grazie ad un suo fidato, Seiano), dove si circondò di uomini di studio, letterati e pure astrologi. Ma vi trasferì anche cortigiani e cortigiane con cui intratteneva rapporti viziosi e poco dignitosi. Vi aveva fatto costruire ben dodici ville per il suo seguito, ma la sua reggia fu Villa Jovis. L’imperatore non tornò mai a Roma a guardare gli affari di stato, nemmeno per la morte della madre Livia.

Villa Jovis a Capri

L’epoca di Tiberio fu l‘alba dell’Impero romano: non ci sono tracce di Odoacre, di barbari che imperversano lungo la penisola, della religione di Cristo che scaraventa dal cielo gli dèi romani, della morte dell’idioma latino, imbastardito.

Napoli era il centro del potere, il punto di partenza del pluricentenario impero.

Il tramonto dell’Impero romano: l’esilio di Augustolo al Castel dell’Ovo

Al momento dell’ascesa di Tiberio, era lontano perfino l’immenso Castrum Lucullanum, l’attuale Castel dell’Ovo, la sfarzosa e lussuosa villa del generale Lucullo.

Castel dell’Ovo

Gli “Annales Valesiani“, una raccolta di libri scritti in forma anonima dal 390 d.C. al 550 d.C., indicano proprio il Castrum Lucullanum come ultimo posto per il trono dell’impero, estremo domicilio dell’ultimo imperatore, Romolo Augustolo.

Dopo la sua deposizione da parte di Odoacre, infatti, il piccolo Romolo Augustolo venne inviato in esilio proprio sull’isolotto di Megaride. Era il 476 d.C., una data che ha segnato un’epoca: fu la fine dell’Impero romano d’Occidente e diede inizio all’epoca del Medioevo.

Moneta raffigurante Romolo Augustolo

E Napoli era ancora lì, al centro della storia, spettatrice e protagonista dell’inizio e della fine di uno dei più gloriosi imperi della storia dell’umanità.

Fonti:

“Grandi e piccole storie su Napoli che non ti hanno mai raccontato” – Agnese Palumbo


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