Incluso tra i “Borghi più Belli d’Italia“, quello di Civitella del Tronto, piccolo paesino di quasi cinquemila anime nella provincia di Teramo, è stato l’ultimo baluardo dei Borbone di Napoli e del Regno delle Due Sicilie cui era annesso.
Civitella del Tronto, l’ultimo baluardo dei Borbone di Napoli
Il piccolo borgo di Civitella del Tronto lottò con forza e coraggio contro la Regia Armata Sarda, arrendendosi soltanto tre giorni dopo la dichiarazione dell’Unità d’Italia. Secondo le cronache del tempo, pare che all’esercito sardo, nonostante le trattative di resa ormai segnate, fu recapitato comunque un biglietto che recitava più o meno così: “Non vi avanzate perché sarete respinti a cannonate”.
Porta Napoli di Civitella
Ma c’è un sottile fil rouge che continua a legare Napoli, o meglio il Regno di Napoli, a Civitella del Tronto, piccola cittadina arrampicata sui promontori abruzzesi. Si comincia dall’unica porta di accesso sopravvissuta al tempo, Porta Napoli, legata ancor oggi, così come testimonia la toponomastica, alla Capitale di Regno. Risalente al 1200, è un arco a tutto sesto in travertino, oltrepassato il quale ci si imbatte nella Chiesa di San Francesco. La fondazione di questo edificio di culto risale al 1326, durante il regno di un altro sovrano napoletano, Roberto d’Angiò, ad opera di Fra’ Guglielmo, futuro arcivescovo di Benevento.
La forma del portale di questo edificio di culto ricorda, nelle forme e nelle proporzioni dei blocchi di pietra che lo compongono, proprio quella della porta di accesso alla cittadina.
Il monumento funebre realizzato a Napoli
Poco distante, lungo le stradine di Civitella del Tronto, c’è un altro segno tangibile del legame tra Napoli e questo piccolo borgo da cui dista 200 chilometri circa: il monumento funebre a Matteo Wade, militare irlandese al servizio del Regno di Napoli che, agli inizi del XIX secolo, si distinse per il suo valore nella difesa della piccola fortezza di Civitella del Tronto assediata dall’esercito francese.
Questo monumento venne fatto costruire proprio a Napoli nel 1829 per volontà di Francesco I di Borbone, e posto, qualche anno più tardi, nella prima piazza della città. Tuttavia, durante l’assedio per l’unificazione d’Italia, venne requisito come bottino di guerra credendolo un’opera del Canova. Si trattava invece di una creazione di Tito Angelini, che a Napoli realizzerà qualche anno più tardi la ben più nota statua di Dante Alighieri dell’omonima piazza.
Accertata la reale paternità del monumento, venne abbandonato prima in un magazzino ad Ancona, e portato solo verso la fine del 1800 nuovamente a Civitella del Tronto, privo di alcune parti che originariamente lo costituivano. Dal 1938, addossato ad una parete, questo monumento è stato posto alla sinistra dell’ex Palazzo del Governatore in Largo Pietro Rosati.
L’eredità culinaria dei Borbone
Ma i Borbone non hanno lasciato solo un monumento realizzato dalle proprie maestranze di fiducia a questa piccola cittadina. Sono tante, infatti, le tradizioni culinarie che ancora oggi caratterizzano la cucina e il gusto dei civitellesi, a cominciare dallo storico filetto alla borbonica. Si tratta di un panino preparato con una fetta di pane sulla quale viene adagiata una fetta di carne ricoperta, a sua volta, da una mozzarella e filetti di alici sotto sale e insaporite con marsala, vino liquoroso originario del Sud del Paese.
E se non di solo pane vive l’uomo, i Borbone hanno lasciato in eredità anche un altro piatto, ormai tipico civitellese: lo Spezzatino alla Franceschiello. Come sarà facile intuire, questo piatto prende il nome dall’ultimo re Francesco II di Borbone, popolarmente chiamato Franceschiello da alcuni cronisti del tempo che volevano ridicolizzare il sovrano, ed è connesso alla fortezza di questa cittadina. Un piatto realizzato a base di pollo o di agnello, che veniva insaporito, ancora una volta, con vino e con i sottaceti.
Bibliografia
Civitella del Tronto. Guida storico-artistica alla fortezza e al borgo, AA VV
Breve note intorno all’assedio di Civitella del Tronto 1860-1861, Ferdinando Angeletti
Civitella del Tronto e la sua storia, Carino Gambacorta
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