La coppa di Nestore e l’antica Ischia
Nell’VIII secolo a.C. i Greci, abili naviganti, si muovevano nel Mediterraneo alla ricerca di nuovi posti in cui fondare città. In particolare, i coloni provenienti dall’Eubea arrivarono nella penisola italica e per primi vi fondarono insediamenti destinati a crescere e a creare la splendida realtà della Magna Grecia.
Pithecusa
Il primo centro fondato è stato Pithecusa, l’attuale Ischia. Sulle origini di questo nome così particolare ci sono tante teorie: a lungo si è detto che fosse una derivazione del termine pithekos, che in greco antico significa “scimmia“: un termine usato dai coloni Greci per definire in modo dispregiativo gli abitanti indigeni dell’isola. In realtà, molto probabilmente, la risposta è proprio nei vasi che si trovano all’interno del Museo di Pithecusa: la parola significava infatti anche “orcio” o “grosso vaso” e fu attribuita alla popolazione ischitana, che si distingueva per la sua abilità nel realizzare recipienti molto grossi.
Il passato ellenico di Ischia è testimoniato da importanti fonti letterarie, ma sono stati gli scavi archeologici a fornire un quadro storico molto più preciso. L’archeologo tedesco Giorgio Buchner si interessò al sito e nel 1952 diede inizio ai lavori di scavo che ebbero fortunati esiti soprattutto nella zona di Lacco Ameno. Qui, infatti, riemerse una ampia necropoli con i suoi ricchi e sorprendenti corredi funebri. Perché sorprendenti, vi domandate? Perché invece di armi, spade, elmi e scudi, come ci si aspetterebbe nelle tombe di una antica società di guerrieri, sono riemersi soprattutto vasi in ceramica. Una società di guerrieri, quindi, ma anche di artigiani, abili, operosi e benestanti.
La coppa di Nestore
Nella tomba di un bambino è stata ritrovata una piccola coppa di ceramica, custodita oggi nel Museo Archeologico di Pithecusae: e diventata famosa con il nome di coppa di Nestore.
A prima vista potrebbe non destare particolare curiosità: è infatti di piccole dimensioni e non si distinguerebbe dagli altri manufatti, se non fosse per una iscrizione in versi, conservatasi su un lato. Niente di straordinario, dite?
Ebbene, si tratta di una delle più antiche testimonianze di lingua greca scritta, uno dei primi esempi di come i Greci presero in prestito l’alfabeto fenicio e lo usarono per fissare le proprie parole. Siamo, lo ricordiamo, nella prima metà dell’VIII secolo, proprio nel momento in cui si stanno formando l’Iliade e l’Odissea così come le conosciamo oggi. Già da secoli e secoli, infatti, gli aedi cantavano le saghe dei grandi eroi alle corti dei signori, ma soltanto in questo periodo un qualche Omero scelse di raccontare dell’ira funesta di Achille e dell’animo umano e multiforme di Odisseo, selezionando i canti che sarebbero diventati immortali, proprio perché messi per iscritto.
Un alfabeto per la poesia
La nostra coppa assume quindi un valore fondamentale e contribuisce a rispondere ad una domanda che gli studiosi si pongono da anni: perché i Greci iniziarono a scrivere? E la risposta è tra le più belle: per scrivere poesia.
Le prime attestazioni scritte sono infatti in versi, proprio come la coppa di Nestore che recita così:
«Νέστορος [εἰμὶ] εὔποτον ποτήριον
ὃς δ’ ἂν τοῦδε πίησι ποτηρίου αὐτίκα κῆνον
ἵμερος αἱρήσει καλλιστεφάνου Ἀφροδίτης»
«Io sono la bella coppa di Nestore,
chi berrà da questa coppa
subito lo prenderà il desiderio di Afrodite dalla bella corona»
Dalla iscrizione capiamo che la coppa veniva usata durante i simposi, i momenti in cui era tipico cedere all’ebbrezza del vino e celebrare il piacere dell’eros attraverso la poesia.
Chi è Nestore?
Il Nestore proprietario della coppa potrebbe essere il famoso eroe mitico personaggio dell’Iliade, e questa ipotesi sarebbe sostenuta da un passo in cui si descrive una coppa dalle dimensioni straordinarie appartenuta proprio a Nestore, oppure potrebbe essere un uomo comune dal nome un po’ altisonante, vissuto ad Ischia più di duemilasettecento anni fa.
Claudia Grillo
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