Perché il comune di San Marco Evangelista prima si chiamava “ ‘E Massarie” ? Mi metto in viaggio insieme a Enrico e a Giuseppe per chiederlo direttamente a un appassionato di storia locale, autore anche di molti testi, il prof. Francesco Nigro.
Ci ha raccontato che a San Marco, fino a non molti anni fa, c’erano centinaia di masserie, ancora oggi riconoscibili dagli ingressi ampi, spaziosi, con grossi archi a tutto sesto.
L’origine del termine Masseria
Il termine masseria, o meglio, “massaria”, deriva da massa che significa “ammassare” grano e provviste. Vi ci abitavano i proprietari terrieri e nelle più grandi vi trovavano posto pure i braccianti.
Ma perché, oggi, si chiama San Marco Evangelista?
Prima dell’unità di quest’Italia il territorio era diviso tra “ ‘e Massarie ‘e San Marco” dal lato di Maddaloni e “ ‘e Massarie d’ ’e Perroni” dal lato di Capua; perché si chiamasse San Marco non è dato saperlo, ma sembra che sul territorio agricolo dell’epoca, ci fosse una cappella dedicata al Santo Evangelista, che adesso non c’è più.
E chissà allora se San Marco fosse a conoscenza di questo culto, lui che è il Santo protettore degli scrivani e dei notabili e non dei contadini. E chissà, ancora, se “ ‘e Perroni” fosse il cognome di una famiglia oppure una zona piena di pietre grandi, “petroni”, da lì “perroni”.
Il lavoro della canapa raccontato nello stemma di San Marco Evangelista
Una cosa, però, è certa: nello stemma di San Marco Evangelista (CE) è presente una pianta di canapa e non si può conoscere la storia di questo luogo se non partendo da essa.
Anzi, per comprenderla meglio dovremmo conoscere due proverbi che fanno la storia del paese.
Il primo è il seguente: “Vaje areto areto comme ‘o funaro”. Gli abitanti del luogo lo usano per intendere quando qualcuno non solo non fa progressi in qualcosa, ma addirittura regredisce.
“ ’O funaro”, infatti, lavorava camminando all’indietro. Partiva da una ruota di canapa ancora grezza e la intrecciava camminando nel verso contrario. Con la canapa si producevano corde: quelle che servivano per stendere il bucato, per avvicinare una barca alla banchina o per calare un secchio nel pozzo.
Una volta che la pianta era matura servivano due persone per sradicarla e prenderne anche il fusto. Una volta raccolta si doveva “ scutulia’ ” e le mani si spaccavano per fare tante fascine ed ottenerne la fibra. Successivamente si mettevano a “ mmatura’ ”, in italiano si dice “a macerare”, nei lagni, famosi sono quelli “regi”, un intreccio di canali che convogliavano le acque in queste vasche.
La canapa galleggia, e perciò ci stava “Austino ‘o funaro”, assurto al grado di “lagnataro”. Austino saliva su una montagna di pietre e man mano le lanciava “ncopp’â pila”, in pratica su una zattera che conteneva la canapa per farla affondare. Dopo una decina di giorni Austino tornava al lagno, si immergeva e toglieva le pietre pesanti per far riemergere la canapa e… “ppe cchesto Austino è mmuorto cu ‘e reumatisme, comm’ a ttutt’ ’e lagnatari”.
La canapa si lasciava asciugare formando spesso delle capanne, che poi diventavano il posto più ambito per i bambini che giocavano a nascondino. Una volta pronta la portavano nelle masserie e per darle la forma definitiva, la maciullavano con “ ‘a macennula” e quei pezzetti di scarto si chiamavano “ ‘e cannauccioli”, cioè “canapuccioli” e sapete a cosa servivano? S’appicciava ‘o ffuoco….in pratica è stato un pellet “ante litteram”.
Giungeva, poi, il momento della “spatolatura” fatta con le spade di legno per eliminare le ultime parti impure più piccole. Adesso, la canapa pura, poteva essere finalmente pettinata, proprio comm’ ’e capille ‘e stoppa, usati ancora oggi dagli idraulici per il forte potere assorbente.
La lavorazione dell’uva e un proverbio antico
A San Marco Evangelista, però, esiste un secondo proverbio che racconta la storia di questo luogo: “ ‘E fatto ‘a primma fescena tutte chiaccune”. Sì, qui quando si vuole dire a qualcuno che non ha avuto un buon esordio si dice proprio così. Un bambino non avrebbe mai detto “sono stato bocciato”, ma avrebbe usato questo proverbio per raccontare una bellissima storia di questo luogo: quella dell’uva fragola a San Marco Evangelista e dell’Asprinio ad Aversa.
L’addetto a raccogliere l’uva saliva sullo scalone, la tagliava e la posizionava in un cesto con un pizzo, chiamato fescina. Una volta riempita la faceva scendere velocemente – con una corda di canapa prodotta dal “funaro” – per farla conficcare nel terreno.
A volte, però, capitava che – per la posizione molto precaria – gli “uomini ragno”, arrampicati sulle scale, non riuscissero a tagliare solo i grappoli, ma riempivano il cesto anche di una grande quantità di foglie.
Infatti, se consultiamo il vocabolario napoletano-italiano troviamo la parola “fescena” che deriva dal latino “fiscina”, ”sorta di paniere dal fondo aguzzo usato per raccogliere uva, fichi e altra frutta”, mentre la parola “chiaccone” viene tradotta letteralmente come “foglia della vite”.
Il Centro Commerciale Campania e la località Aurno
Ecco la storia di questo territorio: quella delle viti maritate ai pioppi. Infatti, sia l’uva fragola che l’asprinio si sono sempre prodotte così. Una storia lunga solo 3000 anni, portata in Italia dagli Etruschi che cominciarono ad allevare la vite, così come la vedevano crescere nei boschi, con i tralci che diventavano lunghi come liane.
E qui questo metodo è rimasto, tanto che Plinio il Vecchio nel Naturalis Historiae, 77 d.C., testimonia la viticoltura campana dell’epoca, con viti maritate ai pioppi, anche altissime, più di venti metri, soprattutto in queste zone.
Ora tutta questa storia non esiste più. C’è stata l’industrializzazione, l’urbanizzazione e la nascita di aziende manifatturiere; tant’è, che proprio in queste zone, è sorto il famoso centro commerciale “Campania”.
Da domani, allora, se ci andrete, leggete lo scontrino che vi sarà rilasciato dopo un acquisto: c’è scritto località Aurno, dove Aurno – nel territorio di Marcianise, a cinque minuti da San Marco – era una dei “lagni” più importanti per macerare la canapa.
Ecco, sappiate che lì, un tempo, c’era una storia bellissima, fatta di fatica vera, ma anche di ricchezza produttiva.
Se ci andate, leggete lo scontrino e ricordatevi di Austino ‘o lagnataro…e anche dei suoi reumatismi.
-Yuri Buono