È ormai noto che gli antichi Romani erano molto mattinieri, ma in particolare a risvegliare i cittadini era l’inconfondibile profumo del pane a Pompei appena sfornato…
Le panetterie romane: la Casa del Forno
Gli antichi forni presenti nelle città romane non erano molto diversi da quelli di oggi. Erano piuttosto costituiti da due parti: una camera di combustione, dove si distingueva bene la legna che bruciava, e la camera di cottura, dove solitamente si cuocevano le pagnotte, formata da mattoni disposti a vortice, in modo da creare una cupola perfetta.
Insomma, erano molto simili alle nostre tipiche pizzerie con forni a legna, ma con qualche differenza: due mule giravano attorno a delle macine di pietra vulcanica. Simili a grandi clessidre nere, erano costituite da una pietra di forma conica (meta) e un’altra cava (catillus). Ma come funzionava? Si facevano cadere manciate di chicchi di grano nella parte superiore del catillus, che andavano ad infilarsi nello spazio tra le due pietre che giravano, le quali, sfregando tra loro, sminuzzavano i chicchi per ottenere la farina. Ancora oggi se ne possono vedere i resti nella Casa Del Forno a Pompei.
La farina
Dal latino far (cioè farro), la farina fuoriusciva dalle macine e veniva raccolta con molta cura dagli operai-schiavi, i quali la passavano al setaccio (mettendo in circolo nell’aria una polvere di farina molto fine) per separarla dai frammenti del guscio dei chicchi sminuzzati. Veniva poi lavorata in una stanza laterale accanto ai forni, dove gli schiavi la mescolavano con acqua e lievito in recipienti fatti di pietra.
Di certo era un duro lavoro, ma che non eseguivano da soli: erano aiutati da una sorta di macchina impastatrice mossa dalla forza dell’uomo, che veniva fatta girare per lavorare al meglio l’impasto. Così si risparmiava tempo e fatica, ma soprattutto aumentava a dismisura la produzione di pane. A questo punto, l’impasto veniva lasciato riposare per molte ore coperto da un panno, prima di riprendere la sua lavorazione, dando vita a vere e proprie pagnotte che venivano disposte lungo un tavolo di legno, ovvero la più classica delle vetrine moderne.
La differenza tra il pane di quei tempi e quello attuale è che il primo veniva spesso speziato; l’analogia, invece, era che anche gli antichi fornai rendevano la crosta leggermente croccante grazie ad un piccolo trucco: accanto ai forni vi erano sempre dei recipienti d’acqua, uno per raffreddare gli attrezzi e l’altro per spruzzarne un po’ sulle forme di pane a metà cottura, in modo tale da indorarsi e indurirsi successivamente.
Un’altra caratteristica del pane nell’antichità era che le macine di pietra utilizzate per sminuzzare il grano rilasciavano minuscoli frammenti, che finivano per consumare e rovinare i denti. Cosa che non succedeva a Pompei, perché la pietra lavica usata per realizzare le macine era così dura da non rilasciare alcun pezzettino.
Distribuzione gratuita del pane a Pompei
Il pane a Pompei era un cibo fondamentale soprattutto per i poveri. Secondo alcune statistiche, costituiva l’80% della dieta nelle classi più basse ed è probabilmente questo il motivo per cui, in tempi di elezioni o di carestia, veniva distribuito gratuitamente. In merito a ciò, vi è un famoso affresco pompeiano che ritrae un uomo con una lunga tunica bianca seduto sopra ad un bancone, in mezzo a tante forme di pane e ne allunga una a due uomini e ad un bambino.
Secondo molti studiosi, si tratta di un fornaio che vende il pane, altri però affermano che potrebbe essere benissimo un candidato elettorale o un’alta autorità di Pompei che regala pane ai bisognosi. I vestiti dei clienti richiamano il periodo invernale, tempo in cui la distribuzione gratuita era più richiesta.
Una vasta gamma di pane
Osservando l’affresco, si notano diverse varietà di pane a Pompei: in effetti i fornai romani ne realizzavano almeno dieci tipi ed esistevano anche già dei biscotti per cani. Una vasta scelta, non solo nelle dimensioni, ma anche nella farina. C’era il pane bianco per i ricchi e il pane nero per gli schiavi e i poveri, che conteneva gli scarti rimasti nel setaccio. È praticamente il nostro pane integrale che oggi è consigliato anche per la salute, ma allora veniva visto come un cibo di scarsa qualità e proprio per questo definito di ultima farina.
Ed esistevano diversi tipi di pane anche a seconda degli ingredienti, come quello d’orzo o di miglio. Sui banconi vi si potevano trovare anche dei piccoli pani di mosto, il pane di Picenum, che andava intinto nel latte, o ancora, diversi fornai erano in grado di vendere il pane clibanicus, una sorta di pan brioche di epoca romana.
La tentazione di provarli ancora oggi è davvero forte…
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