Domenica 23 novembre 1980, ore 19:34.
Maria sta preparando la cena: l’acqua per la pasta è sul fuoco e dal forno arriva il profumo del baccalà, mentre Giovannino sta giocando in salotto aspettando papà per sedersi a tavola.
Allo stadio “Partenio” l’Avellino ha appena battuto l’Ascoli per 4 a 2 e Antonio è in macchina per tornare a casa, dopo aver visto la partita insieme al figlio. Hanno perso un po’ di tempo, prima di risalire in auto: contenti per la vittoria della loro squadra, hanno voluto festeggiare comprando un coppo di caldarroste e le hanno mangiate bevendo una Coca-Cola.
Salvatore e suo figlio maggiore hanno da poco finito di occuparsi degli animali che, anche se è domenica, mangiano lo stesso, come i cristiani. Fa freddo, sono stanchi e vogliono un bagno caldo, la cena e poi il riposo in un letto. E magari riuscire a vedere in tv gli ultimi gol alla Domenica Sportiva.
Un giorno da ricordare
Domenica 23 novembre 1980, ore 19:34.
Una scossa di terremoto di magnitudo 6,9 che pare l’apocalisse: dura soltanto 90 secondi ma ha la potenza devastatrice di una bomba atomica. Irpinia, Basilicata, Puglia e mezzo sud Italia si ritrovano ridotti in macerie: Avellino, Salerno, Potenza sono ridotte a uno scheletro. Il bilancio è catastrofico: quasi 3mila i morti, decine di migliaia i feriti e più di 250mila persone hanno perso tutto.
L’Irpinia, già segnata da una geografia difficile e una forte emigrazione, si ritrova improvvisamente ad affrontare una delle peggiori catastrofi naturali della storia di questo Paese. Non c’è una regia a coordinare i soccorsi, che arrivano lentamente e il ritardo nell’assistenza aggrava ulteriormente la situazione. Le immagini dei sopravvissuti in attesa di aiuto sono diventate il simbolo delle inefficienze strutturali di un Paese che, nonostante sia spesso colpito dai terremoti, appare sempre più impreparato a gestire queste emergenze.
Il Paese delle eterne ricostruzioni
Da quel 23 novembre 1980 sono passati più di 40 anni e la ricostruzione non è stata ancora del tutto ultimata, come è capitato, prima, nel Belice e, prima ancora, nella Messina dei primi del ‘900, dove alcune baracche, costruite dopo quel terremoto epocale, sono ancora in piedi, ad oltre un secolo di distanza.
Ostacolato da un iter burocratico pieno di bizantinismi e dalle speculazioni di sciacalli e criminali più o meno organizzati e per i quali il terremoto si era rivelato una miniera d’oro, il processo di ricostruzione è andato avanti con lungaggini esasperanti e corruzione dilagante, superate soltanto dalla tempra della popolazione.
Terremoto dell’Irpinia: nasce la Protezione Civile
A livello istituzionale, fu chiaro per tutti che il Paese non fosse minimamente in grado di gestire emergenze di alcun genere: la lentezza dei soccorsi e la mancanza di coordinamento tra le diverse strutture operative fecero emergere la necessità di riforme significative, anche grazie alle testimonianze documentate dai media dell’epoca. Ne scaturirono fiumi di polemiche ma, alla fine, si giunse a capire che, per fronteggiare gli effetti delle catastrofi naturali, fosse necessario apportare una serie di correttivi e che la politica avrebbe dovuto fare la propria parte. E di corsa perché, al solito, l’atmosfera rarefatta dei palazzi rallentava la percezione di una realtà che era già il quotidiano del Paese. Dopo questa tragedia, espressioni come “prevenzione”, “piani di emergenza” o “piani di evacuazione” cominciarono a diventare di uso comune.
E, meno di due anni più tardi, nei primi mesi del 1982, prese forma il Sistema Nazionale di Protezione Civile così come lo conosciamo oggi, il cui dipartimento fu istituito con la legge n. 225 del 24 febbraio 1982. Da quel momento in poi, furono stabilite funzioni e responsabilità di tutte le diverse istituzioni coinvolte, a vario titolo, nella gestione delle emergenze, qualunque fosse la loro natura.
Prevenzione e preparazione: una lezione costata 3000 morti
La catastrofe dell’Irpinia ha insegnato a questo Paese che, anche se le calamità naturali non sono tutte prevedibili e non sono tutte evitabili, si può essere, però, preparati a superarle nel miglior modo possibile. E che la prevenzione e l’educazione e il rispetto per l’ambiente rappresentano l’unico modo possibile per contenere gli effetti di certi fenomeni.
Quanto ai terremoti, l’intero territorio nazionale è estremamente vulnerabile dal punto di vista sismico. Ovviamente non si può impedire alla terra di tremare, ma si può costruire con giudizio, impiegando tecniche e materiali che siano in grado di resistere almeno ai fenomeni meno catastrofici. Certo, il terremoto dell’Irpinia fu di una violenza distruttiva inaudita, pari al 10° grado della scala Mercalli, ma per fortuna non va sempre così.
E strade inghiottite dalla terra e palazzi che si sfarinano addosso a chi vi abita non sono effetti inevitabili: non sempre e non dovunque, almeno.
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