Uno dei versi di una famosissima poesia d’amore del poeta cileno Pablo Neruda recita così:
“[…] nuda sei enorme e gialla
come l’estate in una chiesa d’oro”.
Quest’immagine appare immediata e suggestiva perché quasi tutti noi abbiamo ben presente la luce particolare che invade una chiesa in una giornata di sole. Credenti o meno, tutti subiamo il fascino dell’oro che attraversa e illumina la polvere e i pilastri e che risplende rimbalzando da una finestra all’altra.
A volte, tuttavia, non c’è bisogno di molto sole.
Che sia estate o inverno, la chiesa di San Giuseppe dei Ruffi splende di un oro stupefacente e abbagliante, naturale figlio dello stile barocco secondo i cui dettami essa fu ristrutturata nel 1630 da Dioniso Nencioni di Bartolomeo.
Già da una trentina d’anni, in realtà, si ergeva all’imbocco di via dell’Anticaglia una chiesa, inglobata nel monastero vicino che, secondo i precetti agostiniani, era stato fondato da un gruppo di nobildonne napoletane: si trattava del Convento di Santa Maria degli Angeli.
Nel 1611 le monache decisero di ribattezzare il monastero e, pochi anni dopo, di abbattere la chiesa esistente per costruirne una nuova: furono loro, appunto, a commissionare il lavoro a Nencioni.
Una doppia rampa di scale conduce al portico che precede la facciata, mentre l’interno, a croce latina, è ricco di opere d’arte e sontuose decorazioni di stucchi e ori che contribuiscono a rendere unica questa chiesa e la sua suggestiva luce.
La cupola è affrescata da Francesco de Mura con una sublime rappresentazione del trionfo di San Giuseppe; tra gli autorevoli nomi che hanno contribuito a decorare la chiesa vi è quello di Luca Giordano, che partecipò con una sua tela raffigurante gli apostoli Pietro e Paolo; vi sono sculture di Sammartino; insomma, in una chiesa tutto sommato non immensa è racchiusa una sorprendente quantità di opere d’arte: Napoli è anche questo, trovare il grandioso e il capolavoro abbandonato e inosservato lì dove non te lo aspetteresti.
Di notevole rilievo artistico, seppur molto modesti in stridente contrasto con la chiesa, sono anche i due chiostri annessi ad essa, progettati e ideati da Dioniso Lazzari. Il chiostro maggiore è composto da pilastri e archi a sesto acuto, mentre quello minore ha pianta quadrata ed è circondato da cinque arcate. I chiostri non sono visitabili, poiché l’ordine monastico che ancora vi risiede è di clausura.
La chiesa, tuttavia, non solo è visitabile, ma è da visitare: entrare nel suo silenzio quasi mistico e sicuramente surreale non è l’unico motivo che dovrebbe spingere ogni napoletano ad entrarvi, né lo sono le spettacolari opere d’arte e le magnifiche decorazioni barocche.
Più di tutto, è l’oro che pervade l’aria e l’anima di chi entra a rendere questa chiesa (troppo) poco conosciuta una perla dorata incastonata come una piccola rarità sul nostro terzo decumano.
Beatrice Morra
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