S115 Franfelliccaro Vianelli 1840

O’ franfelliccaro. Chi era quest’uomo?

Null’altro che un semplice venditore ambulante di dolciumi. D’altronde, si tratta di una delle tante figure “professionali” che il popolo napoletano si inventò per far fronte alla povertà assoluta dei bassifondi della città. Per i più grandi, ad esempio, c’era l’acquavitaro, l’antenato dei barman moderni.

È probabile che il termine “franfellicche” tragga origine addirittura dal greco “pompholux” che significa “bolla d’aria”, per ricordare la leggerezza degli alimenti.

Le caramelle erano ottenute tagliando in piccole parti un impasto di sciroppo di zucchero e miele. Spesso si preparavano in casa, ma spesso capitava di trovare in giro per la città dei signori con un grande calderone nero riscaldato da una stufa a carbone. All’interno di questa pentola sporca e annerita, poi, si versava lo zucchero e magari altri ingredienti per creare le caramelle.

Il franfelliccaro faceva in ogni modo per attirare l’attenzione di potenziali clienti: fischi, lanterne di sera, schiamazzi e talvolta anche giochi in cui essi venivano coinvolti. Gli acquirenti erano ad esempio tirati a indovinare se il numero di franfellicchi stretti in un pugno era pari o dispari e così via.

A metà Ottocento la vendita e il consumo di queste caramelle andó sempre più a scemarsi, il tutto a causa di un’ “invasione di dolciumi siciliani, che vennero come uno stormo di uccelli rapaci”, come raccontano le cronache dell’epoca. Le pasticcerie siciliane spopolarono infatti a Napoli dall’altra capitale del Regno e, da allora, ci fu un boom di richieste di dolci sempre più raffinati.

C’è anche una poesia che ricorda il mestiere scomparso. E’ datata 1928 ed è firmata da Alfredo Gargiulo:

‘E FRANFELLICCHE 

“Doje paparelle le zucchero, 
tre o quatto sigarette le ciucculata; 
nu perettiello chino d’acqua e ccèvoza,
‘cu dint’ ‘a ficusecca sceruppata.
Poi’le franfellicche: al massimo,
nu trenta franfellicche le ogni culore;
cierte so’ chine le povere, 
cierte se so’ squagliate p I “o calore.
Pure pare incredibile, 
Ce io ce sto riflettenno la na semmana):
ncopp’a nu bancariello e a sti tre prùbbeche, 
ce campa,spisso,na famiglia sana …” 

Lidia Vitale

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