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I promessi sposi napoletani

Tra le infinite storie di una città tanto vasta quanto misteriosa come quella di Napoli, figurano anche le vicende di due giovani innamorati, dei veri e propri promessi sposi napoletani, che dovettero affrontare così tante peripezie, per poter  finalmente coronare il loro sogno d’amore, da avere invero ben poco da invidiare ai promessi sposi manzoniani.  Anche in questa storia, l’abuso di potere esercitato dai nobili sul popolo fa da protagonista indiscusso. Ecco la storia dei Promessi Sposi napoletani.

La storia dei promessi sposi made in Napoli ha inizio in un sabato di Giugno dell’anno 1496 ed una scalpitante folla di popolani era riunita nel chiostro di Sant’Agostino. Il motivo per cui la folla era inquieta, risiedeva in una decisione di re Ferrandino, ritornato poco tempo prima al trono di Napoli. Aveva infatti ordinato di revocare una concessione precedentemente data, da re Ferdinando di Aragona, che legittimava  oltre i nobili, anche un rappresentante del popolo a reggere un’asta del baldacchino durante la processione del Corpus Domini, che si sarebbe tenuta il giorno successivo. Alla vigilia della processione, tra i più ferventi fomentatori del popolo, vi era un uomo di circa sessant’anni, dall’aspetto affatto losco, vestito di abito e colletto da prete. Suggeriva di recarsi in massa il giorno successivo dall’Arcivescovo e di bloccare la processione fino a quando il privilegio  non sarebbe stato riconcesso al popolo. Abile oratore e furbo nello sfruttare il rispetto naturalmente esercitato sul popolo dall’autorità delle vesti sacre che rivestiva, forte anche dell’ormai radicato  odio che nutriva il volgo verso la nobiltà, riuscì ad accaparrarsi il consenso della stragrande maggioranza delle persone presenti. In quell’assemblea tra i più ardenti sostenitori delle idee sovversive, vi era anche il popolano Michele Tavassi, ribollente del tipico fuoco della giovinezza.  E non a caso in realtà, era proprio in Michele, più che in chiunque altro, che il fantomatico prete voleva fomentare l’ardore. Di fatto il losco figuro era stato assoldato proprio perché si assicurasse che ci fosse stata confusione durante la processione del Corpus Domini e che Michele fosse poi considerato il principale responsabile di quell’atto sovversivo. Il committente del finto prete era stato un ricco barone, a quell’epoca residente presso il palazzo che un tempo fu di Gianni Caracciolo, che aveva infatti reputato che quella sarebbe stata proprio l’occasione propizia per rapire Lucia mentre Michele fosse stato in prigione. Lucia era una bella fanciulla del popolo, della famiglia Stella, promessa sposa di Michele Tavassi, di cui era sinceramente innamorata e da cui era teneramente ricambiata. Il barone però dal momento in cui aveva visto Lucia qualche tempo prima, per la prima volta, nella zona del Seggio di Capuana, dove la ragazza si era recata per riconsegnare dei tendaggi che aveva rammendato sotto commissione di un ricco signorotto, non era più riuscito a dimenticarsi di lei. Molti erano stati i suoi tentativi di conquista, ma la fanciulla si era mantenuta sempre rispettosa e fedele dei suoi sentimenti per il giovane Michele. Giunto all’esaurimento delle sue risorse, decise quindi che l’unica cosa che gli restava da fare fosse ricorrere ad un atto di prepotenza. Il giorno seguente quindi, come prevedibile, tutto cominciò ad andare secondo i piani del barone ed in men che non si dica ebbe inizio una gran zuffa tra nobili e popolani per il possesso del baldacchino. Nella confusione intanto, lo scagnozzo del barone, cercava in ogni dove Lucia Stella. Quando riconobbe la donna anziana che in genere accompagnava la ragazza agli eventi pubblici e vide a lei vicina una fanciulla con il volto coperto da un velo, pensò immediatamente dovesse trattarsi della promessa sposa di Michele. Con l’aiuto di altri due brutti ceppi riusci’ a rapirla, spingendola in una lettiga. La ragazza fu portata al cospetto del barone, fremente d’eccitazione per la buona riuscita della missione. Al colmo della gioia le chiese di togliersi il velo, perché lui potesse finalmente guardarla. Non avrebbe potuto provare rabbia più violenta di quella che lo investì quando vide di fronte a sé non il volto della bella innamorata, ma il viso deforme e sgraziato di una ragazza che non aveva mai visto prima. Era accaduto infatti che Lucia, avvisata dal fidanzato dei possibili disordini che si sarebbero potuti verificare durante la processione, aveva ritenuto più opportuno rimanere in casa. Aveva però insistito perché Carmela, una povera orfanella che viveva presso la sua famiglia, partecipasse all’evento così da poterle comunicare notizie riguardanti Michele. Carmela era stata tanto contenta di sostituire l’amica e di vestire i suoi abiti, non presagendo affatto a quale infausta sorte stesse andando incontro.  Quando poi il barone capi’ di aver rapito Carmela piuttosto che Lucia, decise di liberare la prima ragazza ma ordinò che Michele venisse imprigionato per sedizione. Questo reato, a quel tempo, veniva punito con la morte. Il nuovo piano del barone era infatti quello di sacrificare la vita di Michele pur di poter avere Lucia. La rivolta alla processione del Corpus Domini fu sventata grazie all’intervento degli ufficiali del re e sotto richiesta  del barone, come si può facilmente immaginare, Michele fu arrestato. Al ritorno di Carmela a casa, la promessa sposa riuscì a ricostruire i fatti e a comprendere che tutto quello che era accaduto fosse di responsabilità del barone. Insieme al padre, Lucia inizialmente cercò aiuto in Don Federico,lo zio del re, che però si  mostrò del tutto indifferente alla causa degli sposi promessi. Decise quindi di rivolgersi direttamente al barone, che spavaldo e tracotante, le disse, con il tono del trionfatore:- Michele verrà graziato solo se accetterai il mio amore-. Lucia Stella, sebbene non fosse propriamente nella posizione per poterlo fare, con l’orgoglio di chi non si sarebbe data mai per vinta, rispose –Non sono venuta a chiedere la grazia per la vita di un uomo perché ne venisse sacrificata un’altra-. Invasata dall’odio e dalla volontà di farsi a tutti i costi giustizia contro i soprusi di un nobile, Lucia Stella chiese aiuto,in fine, a padre Aurelio, il suo confessore presso il chiostro di Sant’Agostino. Contrariamente al Don Abbondio manzoniano, padre Aurelio era pubblicamente rinomato per il suo coraggio e per la stima che la stessa corte napoletana nutriva nei suoi confronti. Presa a cuore la causa di Lucia e Michele, portò il caso innanzi allo stesso re che convocò la ragazza ed il barone a corte perché con lui potessero colloquiare. Lo stesso barone che poco tempo innanzi si era rivolto a Lucia con fare spavaldo, adesso al cospetto del re, si mostrava umile come un cane con la coda tra le gambe. Il re decretò che il barone avesse abusato della propria carica nobiliare  e delle proprie ricchezze per raggiungere i suoi vili scopi. Decise quindi di privarlo di entrambi e di ostracizzarlo da Napoli. Infine donò a Lucia Stella il suo anello regale, perché lo tenesse in suo ricordo. – Ora va a liberare il tuo promesso sposo – furono le ultime parole che il re Ferrandino riuscì a rivolgere a Lucia prima che la fanciulla cominciasse una disperata corsa verso le prigioni.

Qui terminano le notizie a nostra disposizione  in riguardo alla storia dei Promessi Sposi napoletani, della coraggiosa Lucia Stella e del fumantino Michele.  Ma ci piace pensare che,come per i “Promessi Sposi” di Manzoni, anche per il suo corrispettivo napoletano ci sia stato un lieto fine.

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