Conclusa l’ultima pagina di “Storia di una bambina perduta“, il quarto libro della quadrilogia di Elena Ferrante, il cuore non sembra darsi pace. Pare una conclusione troppo netta, troppo acerba, nonostante le duemila pagine che il manoscritto porta con se’, nonostante lo svisceramento impudico di ogni bruttezza e orrore.

Si tratta di una lettura affannosa, greve, infelice; in quelle pagine sudate e ricche di malinconia è possibile percepire un realismo tutto nuovo. Entriamo a far parte della vita delle protagoniste e ne viviamo con loro la giovinezza, la miseria, la meschinità, la vecchiaia disperata. Passano gli anni e cresciamo con Lenù seguendone i fili intrecciati: annoiandoci, commuovendoci, molto spesso precipitando con lei e con Lila. Addentrarsi in queste parole dense è stato come inabissarsi pian piano, Elena Ferrante non risparmia nessuno, nemmeno se stessa.

Lila e Lenù nel Rione Luzzatti interpretate nella serie tv da Elisa del Genio e Ludovica Nasti

L’amicizia delle due bambine, delle due ragazze, e delle due donne soprattutto, solleva quesiti reconditi, alza il velo delle relazioni a cui siamo abituati. La figura di Lila è innalzata a livelli irraggiungibili, il piedistallo su cui la colloca Lenù rimarrà per sempre intatto, non franerà mai, nemmeno di fronte al successo letterario della voce narrante. Anche in vecchiaia infatti, Elena Greco, scrittrice prodigiosa, avrà il terrore di essere superata dal genio di Lila, e di dover ammettere definitivamente la sua subalternità.

Ciò non accade, o almeno non è ancora accaduto, ma forse Lenù aspetta ancora, e noi che ormai la conosciamo bene, potremo percepirne per sempre l’angoscia. Ma forse la mente di Lila è troppo straziata anche solo per rivendicare a se stessa ciò che le è dovuto. La beautiful mind di Raffaella Cerullo ammalia e sconvolge: è un diavolo, una santa, è cattiva, altruista. E’ una calamita atta ad entusiasmare ed estasiare, siamo costretti a vivere con Lenù il cammino magnifico di questo relitto, che tra un delirio e l’altro si rialza sempre con una crescente determinazione.

Lila e Lenù leggono “Piccole Donne”

Napoli come sfondo dell’amica geniale

Le protagoniste sono due, ma in effetti tre. Sullo sfondo è onnipresente Napoli con le sue porcherie e le sue oscenità, Napoli è fetente e voluttuosa, e paradossalmente anche per bene e ricca di opportunità. La centralità del Rione ha un ruolo determinante, eloquenti sono le parole che l’autrice adatta alle labbra della madre di Lenù: “Per lei erano le persone più influenti del Rione, e dunque del mondo intero.” La mentalità partenopea, di quel Sud retrogrado e medievale esplodono in tutta la loro potenza in questa piccola frase, lasciandoci stupefatti, attoniti. Il riconoscersi sta tutto lì. La città oggi è mutata, è anni luce lontana da quella violenza, da quel maschilismo così radicato, eppure, leggendone i passi , gli avverbi, avvertendone i sospiri, non si può far altro che confessarsene purtroppo l’attualità.

Nel mondo cinico e brutale in cui l’autrice ci trascina, non v’è salvezza, i momenti di stabilità vengono sbaragliati da disgrazie inconcepibili, la serenità è momentanea e annichilita dalla tempesta di dolore che incombe sulle due donne come una nuvola nera. E’ questo ciò che intendo per lettura affannosa, si è sempre sul punto di affogare, di lasciarsi andare allo strazio degli avvenimenti, a volte mi chiedevo dove trovassero la forza per andare avanti. Anche su questo si basa la loro amicizia così complessa; nei momenti di maggior disperazione dell’una, ecco arrivare l’altra, l’unico essere umano ad avere il diritto di custodirne gli sgomenti. Una dipendenza insaziabile che fonda le proprie radici nell’invidia, nella stima e nell’amore. Sono state in grado di scalare la montagna rocciosa della vita con una tenacia forsennata, aggressiva: strappandosi i capelli, le unghie, dimenandosi nella dimensione infernale di quegli anni burrascosi. Modellandosi l’una sull’altra, sgomitando e strillando con ferocia, ottenendo e perdendo tutto.

l'amica geniale
Gaia Girace e Margherita Mazzucco interpretano Lila e Lenù nella serie TV “L’amica geniale”

La scrittura di Elena Ferrante è brillante, fortemente riuscita è l’analisi di ogni personaggio, descritto con un senso del vero molto forte. Lenù è ritratta senza censure in tutte le sue insicurezze ed esitazioni, il suo personaggio a tutto tondo è proprio ciò che ci si aspetta da uno stile così autentico e sincero. I lettori si immedesimano presto, aspettando con lei l’avvicendarsi degli eventi: prima passivamente, poi con una maggiore intraprendenza dovuta alla metamorfosi e alla crescita della protagonista. Ruotano freneticamente attorno a Lenù figure diverse, ognuna con la propria storia e desolazione, ma con le radici intrecciate nello stesso terreno. Con Nino assaporiamo l’agire dell’arrampicatore sociale per eccellenza, è in grado di rendere inconsistente tutto ciò che dice, che tocca, che ama; deturperà Lila con il suo amore impetuoso, e Lenù con quello devoto. Le lascerà arrancare ed infine, con una consueta viltà si dileguerà nel baratro scuro della politica italiana. Con i fratelli Solara invece esploriamo le dinamiche immortali della camorra napoletana, le cui regole e gerarchie sono radicate nella quotidianità dei protagonisti senza via di scampo; perfino il sogno di Lila e Stefano, per la creazione di un Rione nuovo, lascerà presto spazio all’egemonia incontrastata dei più forti.

Non c’è che dire, non possiamo far altro che renderci conto della portata dell’opera che abbiamo di fronte: “L’amica geniale” è una tra le testimonianze più belle ed interessanti della letteratura partenopea. Con le sue parole Elena Ferrante è riuscita a raggiungere perfino l’America, dove ha avuto un successo strepitoso, anche grazie la serie TV andata in onda su Rai 1.

Arianna Giannetti

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