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Secondo una nota leggenda, i maccheroni sarebbero nati a Napoli grazie alle alchimie di un misterioso mago chiamato Chico. La storia è raccontata da Matilde Serao nel suo libro Storie e Leggende Napoletane ed è riportata, con la stessa serietà di un pastafariano, da molte guide locali, siti web e addirittura libri.

In realtà si tratta di una storia di fantasia inventata proprio dalla Serao (con molte ingenuità) e, fra i tanti primati di Napoli, di certo non compare l’invenzione della pasta, che probabilmente arriva dal medio oriente ed è giunta in Italia grazie ai siciliani e ai genovesi. Poi i napoletani l’hanno scoperta e ne hanno fatto un’arte, tant’è vero che nell’800 in Italia i meridionali erano soprannominati “mangiamaccheroni“, ancor prima che si inventasse il termine “terroni“.

La figura del “mangiamaccheroni” diventò un luogo comune tanto famoso in senso negativo da costringere il Minculpop, durante il ventennio, a proibire la vendita e la distribuzione di cartoline e immagini raffiguranti napoletani intenti a mangiare la pasta.

Una mania napoletana, quella dei maccheroni, che secondo Matilde Serao sarebbe nata in un appartamento di Via Cortellari. Una leggenda simpatica e ingenua che strappa ancora oggi un sorriso.

Giorgio Sommer Maccheroni
Una fotografia di Giorgio Sommer. In realtà è posata e fatta in studio.

La leggenda di Chico il mago e i maccheroni

Secondo la Serao, la leggenda è ambientata nell’anno 1220, sotto il regno di Federico II di Svevia. Napoli era una delle città più belle del Regno di Sicilia e, nella stretta e angusta via dei Coltellari, viveva un mago al quarto piano di un fondaco. Si chiamava Chico ed era un uomo di origini orientali, di cui nessuno sapeva nulla. Le porte erano sempre chiuse, le finestre erano scurite dalla polvere. L’unica certezza era che, le poche volte che fu intravisto sul terrazzo di casa, rimaneva immobile ore ed ore, davanti ad una pentola in ebollizione.

L’unico autorizzato ad uscire dalla casa era il domestico: entrava e usciva dal palazzo carico di erbe, fra cui ruta, maggiorana, basilico, prezzemolo e pomodori (?). Di notte si vedeva una flebile luce in casa e un’ombra piegata su libri antichissimi.
Su di lui correvano voci terrificanti: era sicuramente un mago nero, uno stregone, un uomo potentissimo che faceva sacrifici a chissà quale demonio.

Chico in realtà aveva un aspetto elegante e possedeva una lunga barba bianca. Un tempo era stato un uomo bello e di successo. Cadde in disgrazia dopo aver speso tutto il patrimonio in donne e feste e, da allora, si ritirò in questa casa del centro di Napoli. Decise infatti di cercare di creare qualcosa di talmente bello e buono da essere ricordato per sempre. Non poteva non essere allora qualcosa da mangiare.

Il furto dei maccheroni al ragù

Dopo molti anni di lavoro intenso, finalmente, inventò la ricetta dei maccheroni al pomodoro.

Per la gioia, Chico abbassò la guardia e non notò che la vicina, una tale Jovannella, lo stava spiando. Era una serva di Palazzo Reale (quale?) e riportò la ricetta per filo e per segno ai cuochi di Re Federico, nella speranza di ottenere un riconoscimento come “inventrice” della ricetta.
La donna fu portata in cucina e “impastò farina con acqua, sale e uova, maneggiando la pasta per raffinarla e ridurla sottile come una tela. Poi la tagliò in piccole striscie, la arrotolò a piccoli cannelli e li mise ad asciugare al sole. Poi mise in un tegame strutto, cipolla e sale, poi carne e succo di pomodoro, lasciando tutto cuocersi a fuoco lento“.

I maccheroni al ragù furono un successo. Federico II ne andò pazzo e diede ogni onorificenza a Jovannella. La donna, poi, raccontò la ricetta a tutta Napoli, diventando nota per essere l’”angelo” che aveva inventato la pasta. Quando Chico lo venne a sapere, impazzì dalla rabbia e sparì nel nulla.

Un’innovazione “rubata” alla Sicilia, con tante imprecisioni

Alberto Consiglio, giornalista napoletano che ha dedicato un intero volume alla ricostruzione della storia dei maccheroni, “smonta” completamente la storia di Serao, spiegando che è stato un ingenuo plagio di più opere dalle quali si è ispirata la giornalista napoletana: “Contes Drolatiques” e le “novelle” di Masuccio Guardati.

Alcune cose sono vere: innanzitutto i maccheroni è probabile che siano giunti a Napoli tra il XI e il XIII secolo (grazie agli strettissimi contatti con i saraceni, che diedero origine anche a Piazza Mercato, e alla presenza di arabi nella corte sveva). Si alternano però anche errori giganteschi, come la presenza del pomodoro alla corte di Federico II o la presenza dell’uovo all’interno della ricetta della pasta, che la fa avvicinare ai cannelloni di pasta all’uovo con sugo di carne.

Prima della città di Napoli, che non occupava ancora un ruolo ancora centrale nella politica del regno, il centro del mondo era la Sicilia. E proprio in Sicilia arrivò la pasta fresca, che probabilmente fu diffusa proprio dai tantissimi musulmani e dagli stessi siciliani che frequentavano i porti del mediterraneo. Un testo dello scrittore musulmano Idrisi (vissuto tra il 1095 e il 1165) racconta infatti che Trabia, in provincia di Palermo, era la città più famosa in cui si produceva la pasta.
Probabilmente proprio gli islamici residenti a Napoli, all’inizio del millennio passato, dovevano essere immaginati come “maghi” e come stregoni.

Anche il Nord Italia ha una sua leggenda, in questo caso legata all’esploratore veneto Marco Polo che, stando ad un racconto popolare, avrebbe portato la pasta dalla Cina. Non è sicuramente così.L’unica verità è che, già nell’epoca medievale, Genova era fra le principali venditrici di grano nel Mediterraneo ed è probabile che anche dalle parti della Liguria siano arrivate influenze siciliane o direttamente arabe.

-Federico Quagliuolo

Riferimenti:
Alberto Consiglio, La storia dei maccheroni, Canesi, 1959

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