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Solo i più anziani ricordano cos’erano le sbreglie e quanto erano importanti per la vita quotidiana. Ci siamo infatti mai chiesti come dormivano i nostri antenati?
Pochissimi potevano permettersi un materasso di lana e spesso i pavimenti erano un luogo assolutamente poco igienico e scomodo. Si ricorreva così alla natura, nello specifico sfruttando un economicissimo ripieno vegetale, che oggi buttiamo ogni giorno: le foglie delle buonissime pannocchie.

Oggi il ricordo è confinato ad un malinconico “vico Sbreglie” alle spalle del Ponte della Maddalena e ricorda i tempi poverissimi in cui per dormire si usava ciò che si aveva a portata di mano per creare i “sacconi” e i “materassi di sbreglie“.

sbreglie
Le sbreglie

Una soluzione vegetale

Se oggi le pratiche eco-friendly sono una moda sana e spesso indice di prodotti ricercati e costosi, un tempo l’utliizzo di qualsiasi parte di erbe, verdure e ogni sorta di vegetale era l’unica soluzione di sopravvivenza per il popolo poverissimo. Ecco allora che, fino ai primi anni del ‘900, prima che si diffondesse il benessere tecnologico ancor prima che economico, molte ovvietà della nostra vita moderna erano un lusso impensabile per i nostri nonni.

Nel caso dei materassi, esistevano di due tipi: di lana, comodi e costosi, e di sbreglie, quelli utilizzati dal popolo sin dal Medioevo. Li produceva il “matarazzaro“, mestiere ancora oggi sopravvissuto in alcuni cognomi meridionali, che era la persona deputata alla realizzazione del “saccone“, che era fisicamente un grosso sacco nel quale si inserivano le foglie opportunamente lavorate.

Si usavano le foglie esterne delle pannocchie, lasciate essiccare per lungo tempo, e poi si inserivano all’interno di un sacco. In questo modo il materasso risultava morbido e fresco anche d’estate.

L’unico inconveniente di una simile soluzione stava nella necessità di dover riassettare il materasso ogni giorno: il peso delle persone tendeva infatti a comprimere il contenuto, rendendolo presto scomodo e solido. Anche le sbreglie andavano sostituite periodicamente in quanto, essendo materiale organico, potevano essere la casa perfetta di parassiti e altri insetti fastidiosi.

Cardatore
Il cardatore, che si occupava di lavorare la lana nei materassi

E Vico Sbreglie?

Vico Sbreglie prese questo nome nel 1902 quando il Comune si limitò a ratificare un antico soprannome popolare. Era finita la moda revisionista post-unitaria, quando fu addirittura nominata una commissione per cambiare tutti i nomi delle strade “non nobili” o fece perdere nomi a strade storiche come Via Toledo. Al tempo questa strada conduceva in aperta campagna, nella zona delle “paludi“, dove si coltivava anche il granturco, fra le tante cose. Probabilmente, per questa ragione, qui c’era un deposito e un punto vendita del “prezioso” materiale che serviva a garantire ai nostri antenati una notte serena, fra le tante fatiche che affrontava il popolo più povero.

-Federico Quagliuolo

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Riferimenti:
Romualdo Marrone, Le strade di Napoli, Newton Compton, Roma, 1997
Gino Doria, Le strade di Napoli, Ricciardi Editore, Milano, 1988

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