Napoli è sempre stata un caos automobilistico: anche quando le automobili erano un decimo di quelle attuali era comunque difficile trovare posto. Fu per questa ragione che fu regolamentato il parcheggio di Piazza del Plebiscito nel 1963, diventando addirittura poi stazionamento di pullman negli anni ’80. Già ad inizio ‘900, però, era presente uno stazionamento dei taxi in piazza.
Fu una visione che, dalle finestre di Palazzo Reale, avrebbe fatto inorridire tutti i re napoletani, che erano attentissimi al paesaggio.
Il parcheggio di tutto il centro storico
Se oggi c’è chi si lamenta nel trovare la piazza vuota e nuda, basta vedere una delle tantissime foto dell’epoca per ripensare le cose sotto un’altra luce. Le dimensioni enormi di Piazza del Plebiscito la resero infatti il più grande parcheggio pubblico di Napoli e dintorni.
Era facilissimo perdere la propria automobile in un mare di Fiat 500, 131 e 127 che, piccole piccole e dai colori uniformi, si somigliavano tutte fra di loro: c’è chi racconta che le ricerche duravano anche più di un’ora!
Ed ecco che, soprattutto negli ultimi anni, a smistare automobili e guidatori ci pensava l’immancabile parcheggiatore: Don Pascale, un famoso contrabbandiere della zona noto anche per la sua lingua lunga: proprio lui, infatti, a suggerire la storia del finto furto del leone del colonnato di San Francesco di Paola a un incauto giornalista.
Il problema parcheggi
Il problema era però serio: le strade di Napoli erano difficili da gestire per i cocchieri, figuriamoci per gli automobilisti, che negli anni ’60 erano per giunta in numero ridottissimo rispetto ad oggi e con un parco macchine dalle dimensioni infinitamente minori rispetto ai suv moderni. Eppure, anche all’epoca, c’erano grossi problemi di spazio, dato che i garage erano pochissimi (spesso erano ancora chiamati autorimesse, con un retaggio linguistico di origine fascista) e i quartieri collinari erano in fase di costruzione.
L’Italia del boom economico correva sempre di più. E con gli stipendi che crescevano, i nuovi posti di lavoro e il progresso tecnologico delle industrie, anche i meno abbienti cominciarono a viaggiare prima sulle economiche Vespe (e non è un caso che Napoli, come anche Palermo e Catania, sia ancora oggi legatissima allo scooter Piaggio) e poi si trasferirono in massa sulle automobili, con le Fiat Giardiniera cariche di valigie che ogni estate viaggiavano verso le nuove località turistiche, Baia Domizia e Villaggio Coppola. Con le automobili che ogni anno aumentavano vertiginosamente di numero, arrivarono i problemi di parcheggio, dato che il traffico indisciplinato era già conosciuto anche quando in città i motori erano cosa per pochissimi.
Fu così che Piazza del Plebiscito passò da area pedonale a parcheggio pubblico, sostituendo le antiche e graziose installazioni di fine ‘800, come la Fontana del Serino, con i camion e auto che riempivano di smog i monumenti e gli interni di Palazzo Reale, dando inizio ad un’epoca di degrado che si arrestò solo molti anni dopo.
Chiude il parcheggio di Piazza del Plebiscito fra le proteste
L’anno 1994 fu una svolta nella Storia recente di Napoli. La città usciva rovinata e malconcia dagli anni ’80, cominciati con il terremoto dell’Irpinia e concluso con gli scempi combinati per Italia ’90, dove la stessa piazza del Plebiscito diventò un cantiere a cielo aperto per la costruzione della Linea 6 della metropolitana, che poi non fu mai realizzata proprio come la prima metropolitana d’Italia ottant’anni prima. (Forse il capolinea lì porta male?)
Il sindaco era Antonio Bassolino, il primo ad essere eletto dai cittadini, che si trovò con enormi responsabilità sulle spalle: doveva infatti organizzare la città a regola d’arte per prepararla adeguatamente ad ospitare il G7, uno degli eventi politici mondiali più importanti in assoluto. La grande sfida era anche quella del dover restaurare buona parte dei monumenti e degli edifici storici, all’epoca pericolanti, saccheggiati o addirittura abbandonati dopo i disastri del terremoto del 1980.
Uno dei primi provvedimenti dell’amministrazione sorprese tutti e riguardò il traffico: Piazza del Plebiscito diventò area pedonale. Inizialmente si pensava sarebbe stato un provvedimento transitorio legato al G7 che si sarebbe tenuto fra l’8 e il 10 luglio 1994. Poi la piazza fu transennata con catene e paletti, dimostrando la volontà di rendere perpetua la decisione: fu il casus belli che scatenò le proteste furiose di moltissimi commercianti di Via Toledo, che si riunirono in comitati, lanciarono petizioni e mossero ogni sorta di strumento giuridico per invalidare la decisione del sindaco. D’altronde, il gusto per la polemica non manca mai e lo abbiamo visto anche in tempi più recenti, quando è stato pedonalizzato il lungomare vent’anni dopo Piazza del Plebiscito.
Tutti si chiedevano: “che fine faranno tutte quelle auto parcheggiate?” e soprattutto: “senza un parcheggio, chi verrà mai a Toledo?“. La metropolitana nemmeno esisteva: all’epoca era una piccola linea neonata che collegava Vanvitelli con i Colli Aminei e, senza il parcheggio di Piazza del Plebiscito, le cose per gli automobilisti avrebbero favorito senz’altro il quartiere commerciale del Vomero, più moderno e facile da raggiungere grazie anche alla tangenziale. Poi fu subito dopo chiusa pure Via Scarlatti al traffico. E anche i vomeresi insorsero.
Il tempo diede ragione all’allora sindaco di Napoli.
Già il Festivalbar, che fu fatto a Napoli proprio nell’ex parcheggio di Piazza del Plebiscito, dimostrò con i suoi 100.000 spettatori le potenzialità dello spazio restituito alla cittadinanza. Ben presto la nuova piazza diventò il centro dei grandi eventi cittadini, duettando con il San Paolo con i concerti e dominando le televisioni nazionali durante i festeggiamenti di capodanno, grazie alla cornice scenica disegnata da due architetti svizzeri ben 500 anni fa: Pietro Bianchi e Domenico Fontana.
-Federico Quagliuolo