Il conciato romano è un formaggio destinato a sorprendere chi lo assaggia, non solo per il suo caratteristico sapore, ma anche perché si tratta del più antico in assoluto e che, a dispetto del nome, ha origini campane.
Bene, per raccontarvi la sua storia devo tornare al VI sec. a.C. quando i Sanniti Caudini occuparono un piccolo villaggio di nome “Trebula Balliensis”, l’attuale frazione di Treglia nel comune di Pontelatone.

Conciato romano
Il conciato romano

Iniziamo qui, dall’Alto Casertano

Il mio viaggio alla ricerca di “un formaggio” inizia da qui: lunghi anni di battaglie, gente forte e temprata dalle asperità del luogo, dedita alla pastorizia e al conciato.
Per molti è il formaggio più antico del mondo!
Di sicuro le sue origini si perdono nella notte dei tempi, tra quei sanniti che forse avevano bisogno di qualcosa di “forte” per combattere i nemici.
Le prime forme di conciato nacquero su quei monti, in quelle tribù, tra Trebula e Cales (l’attuale Calvi Risorta), luogo dove si producevano le anfore di terracotta dai mille usi e di certo utilizzate per conservare olio, vino e formaggio.
Ma la storia, si sa, la fanno i vincitori e alla fine delle guerre sannitiche vinsero i romani ed è per questo che quel formaggio prodotto dalle tribù sannite, è passato alla storia con il nome di conciato romano.
Insomma, questo fazzoletto di terra dell’Alto Casertano narra una storia che emoziona ancora, che si ha il dovere di raccontare perché eravamo quasi riusciti a perdere anche la produzione del conciato e se ciò non è avvenuto dobbiamo ringraziare quei (pochi) produttori coraggiosi che – pur combattendo tra burocrazia e ostacoli di varia natura – continuano a crederci e a raccontare la storia di questo territorio che quando eravamo un Regno portava il nome di “Terra di Lavoro”.

conciato romano a tavola
Conciato romano e fichi: delizioso abbinamento!

La produzione del conciato romano

Il termine “conciato” è riferito alla tipica tecnica di produzione che prevede l’utilizzo di caglio di capretto e di latte intero ovino. La cagliata viene rotta a mano e le forme, una volte lasciate asciugare per una quindicina di giorni in “casali” di legno protetti da opportune reti, vengono prima lavate con l’acqua di cottura delle “pettole” – una pasta fatta in casa ricca di amido dalle funzioni antibatteriche – quindi asciugate e, appunto, “conciate” con timo, peperoncino, olio extravergine di oliva e il famoso vino Casavecchia. Vengono poi trasferite nelle anfore di terracotta sulle quali sarà applicato un tappo, in modo da risultare sigillate e impedire, così, il passaggio di aria.
Trascorrerà il tempo, anche fino a due anni, e il conciato diventerà sempre più morbido e gustoso, ma quando proverete ad assaggiarlo vi pizzicherà la lingua perché ha un sapore deciso e si sprigioneranno odori intensi ed erbacei.

Un “formaggio estremo”

Qualcuno lo ha definito un “formaggio estremo” e io sono d’accordo. Estremo perché fuori dall’ordinario, tanto che il poeta latino Marziale (ca. 40 a.C. – 104 d.C.), in uno dei suoi Epigrammi (Libro XIII, 33) sui formaggi trebulani scriveva: “Trebula nos genuit, commendat gratia duplex, sive levi flamma, sive domamur aqua”, ovvero “Trebula ci ha generati, ed un doppio merito ci raccomanda, sia che siamo ammolliti da una legger fiamma, o sia dall’acqua”.
Ecco, tutto questo è il “conciato romano”, un formaggio diventato Presidio Slow Food proprio per la sua produzione limitata, che non si gusta solo col palato, ma prima con la mente; un formaggio il cui giudizio non si fa dipendere dal piacere del momento, ma dalla storia millenaria in esso racchiusa.
Se non siete pronti ad assaggiarlo così com’è, se per voi – alla fin fine – è pur sempre solo un formaggio, allora lasciate stare, perché un formaggio può essere anche e, prima di tutto, Storia e Memoria di un popolo.

Yuri Buono
Riproduzione Riservata

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