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Il nome “cicci mmaretati”, italianizzato in “cicci maritati”, potrebbe riportare alla più napoletana minestra “maritata” ma, anche se il significato è lo stesso, in questo caso l’atto di “maritare” non è dato dall’aggiunta della carne, bensì dal fatto di unire tanti tipi di “cicci” diversi.

Siamo nel Cilento e qui i “cicci” altro non sono che i legumi, la cosiddetta carne dei poveri. Questo piatto ha origini antiche, molto probabilmente greche, ma la cosa certa è che veniva preparato dai contadini per consumare le rimanenze dei vari legumi, di cui questa terra è ricchissima.
La preparazione di questo piatto può avere una duplice motivazione: in alcuni paesi viene consumato il due novembre, nel giorno dei defunti, come rispetto nei loro confronti; in altri, invece, il primo maggio come augurio di un buon raccolto.

I legumi utilizzati sono cicerchie, vari tipi di fagioli, ceci e lenticchie, con l’aggiunta di cereali quali orzo, farro, grano e mais, ovviamente insaporiti con pomodorini, sedano, aglio, peperoncino e tanto buon olio extravergine di oliva cilentano.
La ricchezza di questi piatti poveri, non solo risiede nelle tante proprietà nutritive che contengono, ma anche nella storia che rappresentano. Erano piatti che univano i paesi, le famiglie e gli amici; erano momenti di sana convivialità dopo tanti mesi di lavoro e di stenti.

Cicci mmaretati cilentani

I cicci mmaretati e le loro origini

Casaletto Spartano, per esempio, il primo maggio i giovani del paese vanno vanno di casa in casa a cercare legumi di ogni tipo. La sera, poi, nella piazza del paese, ne vengono cotti separatamente, in una grande caldaia, ben tredici tipi diversi e tutti gli abitanti ne prendono una porzione come simbolo di buon auspicio.

Ad Ispani, invece, un comune di circa mille abitanti nei pressi di Policastro Bussentino, i “cicci maritati” prendono il nome di “cuccìa”, dal greco “kykeon” che significa miscuglio“. A Cicerale si chiama “cecciata”, mentre ad agosto diventa il piatto “principe” della “Sagra dei piatti poveri” che si tiene a Stio, nella cornice di uno stupendo castagneto secolare.

Eccola qui la bellezza del Cilento, dei piccoli borghi, dei luoghi che hanno ancora un’anima: valorizzare il poco, rispettare le tradizioni e trasmettere alle nuove generazioni l’importanza di alimentarsi con prodotti della terra, dove sacrificio e dedizione sono – e saranno sempre – il concime migliore.

Riferimenti

https://www.repubblica.it/il-gusto/2021/11/14/news/cilento_i_dieci_migliori_piatti_da_assaggiare-325872890/

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