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779 d.C. In una zona tra Ercolano e Pompei sorge una delle ville più maestose del territorio: si tratta della dimora di Rectina, una nobildonna appartenente all’élite romana. Organizzerà un banchetto nella Pompei che conta a poche ore dalla tragedia. Sarà una delle pochissime sopravvissute… 

La vera identità di Rectina

Secondo molti studiosi, Rectina era la moglie di Sesto Lucio Basso: questo spiegherebbe la sua amicizia con Plinio il Vecchio che, a conti fatti, era il collega del marito. Tuttavia, c’è un dettaglio non trascurabile a sfavore di questa ipotesi: nella sua famosa lettera, Plinio il Giovane definì Rectina come la moglie di Casco (o Tasco, secondo altre versioni), ma potrebbe trattarsi di un semplice errore di trascrizione da parte di copisti nell’età medievale.  

Oppure, la donna, che aveva ereditato ricchezza e proprietà dal marito defunto, si era risposata dopo alcuni anni con un certo Casco (o Tasco).  

Infine, si potrebbe anche ipotizzare che si trattasse di una nobildonna romana che conosceva Plinio e, assieme a suo marito, viveva in una villa maestosa, vicino a quella con la torre di soccorso dove si precipitò per mandare l’SOS all’amico durante l’eruzione del Vesuvius.  

Rectina
Il viso più bello di donna ritrovato in uno degli affreschi a Pompei

La villa

La villa di Rectina si trovava in cima a una scogliera e sviluppava una serie di eleganti terrazze, che gradualmente scendevano verso il mare. Erano collegate tra loro da comode scale, arricchite da nicchie con fontane e statue.  

Oggi ne è rimasto ben poco, ma si potrebbe immaginare che all’epoca ospitasse una sala di banchetti estivi aperta sul Mediterraneo, che offriva una vista mozzafiato sul Golfo di Napoli. Ed è proprio lì che si terrà l’ultimo ricevimento a poche ore dall’eruzione.  

Rectina
Riproduzione della Villa dei Papiri, tipico esempio di una villa faraonica romana

La tragedia

Alcuni ricercatori, intenti a studiare le dinamiche ancora aperte sulla vicenda (in particolare sulle ultime ore di vita di Plinio il Vecchio), affermano che la villa di Rectina probabilmente doveva avere una torre di segnalazione nelle immediate vicinanze, se non all’interno della sua stessa proprietà.  

Come lo sappiamo? Nella sua lettera a Tacito, Plinio il Giovane racconta che quando suo zio vide da Miseno la gigantesca colonna eruttiva innalzarsi verso il cielo, volle andare ad indagare incuriosito dalla sua sete di conoscenza. Ordinò che gli venisse preparata una liburna, ma al momento della partenza gli arrivò un biglietto di Rectina che, spaventata dal pericolo imminente, supplicava di essere soccorsa.  

Ma in che modo venne trasmesso il messaggio? Molte sono le ipotesi: per via mare sarebbe stato impossibile, dato che il vento era contrario; per via terra un messaggero avrebbe impiegato troppo tempo per arrivare.  

I Romani utilizzavano anche i piccioni viaggiatori per comunicare, ma durante l’eruzione nessun animale sarebbe stato affidabile.  

Rimarrebbero solo le bandiere di segnalazione e l’eliografo. Con questo si presuppone che la nube del Vesuvio non avesse ancora oscurato il cielo, vietando ai lampi luminosi di farsi vedere… comunque sia, è certo che l’SOS di Rectina venne inviato attraverso un segnale ottico 

Rectina
Riproduzione dell’eruzione del Vesuvius nel 79 d.C.

Il salvataggio

Purtroppo, ad oggi non si può affermare con precisione in che modo si salvò Rectina, considerata soprattutto la sua vicinanza al cratere. Quello che si sa con certezza è che a metà dell’Ottocento, in una chiesa situata a Morrone del Sannio, per erigere una grossa croce di legno, venne utilizzato come basamento un vecchio blocco di marmo.

Si trattava di un’antichissima ara sacrificale, che si trovava lì da secoli. Si intravedeva un’iscrizione, ma essendo molto rovinata nessuno ci fece caso, fino a quando qualcuno lesse il nome di Rectina e la collegò alla lettera di Plinio.  

Il nome non era di certo comune, anzi rarissimo, e inoltre l’ara risaliva proprio al I secolo d. C., quando avvenne l’eruzione. Sul blocco di marmo vi è inciso “Gaio Salvo Eutico sciolse il voto ai Lari protettori del focolare domestico per il ritorno a casa della nostra Rectina.” 

Sembrerebbe esserci scritta l’ultima riga del lieto fine della vita della nobildonna dopo che tutti si erano chiesti se fosse sopravvissuta all’eruzione.

Rectina
Blocco di marmo che testimonia il salvataggio di Rectina

Il MAV ad Ercolano

A pochi passi dagli scavi archeologici, sorge il MAV, un museo che offre un percorso virtuale ed interattivo dove intraprendere un viaggio nella città romana a poche ore dall’eruzione. Un luogo conoscitivo e didattico, dove oltre 70 installazioni multimediali offrono nuove modalità di apprendimento ed intrattenimento. Si può accedere al loro sito cliccando qui

Fonti:

Alberto Angela, I tre giorni di Pompei, Bur, 2014

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