I siti di Metaponto e Paestum costituiscono alcuni tra i più fulgidi esempi di arte classica nel meridione d’Italia. Oggi sono noti a tutto il mondo per la loro bellezza e importanza storica ma non fu sempre così: fino al diciannovesimo secolo essi furono quasi totalmente dimenticati.
I templi di Metaponto e Paestum nella memoria storica dei regnicoli
Quando si parla di “riscoperta” dei siti di Metaponto e Paestum occorre operare una precisazione: essa non si riferisce tanto agli autoctoni, quanto alla comunità internazionale degli studiosi. Non è un caso che, quando si parla della “scoperta” dei siti sono spesso citate le pubblicazioni internazionali di studiosi pervenuti nel regno tramite il Grand Tour, i quali consegnarono all’Europa la consapevolezza dell’importanza storico-artistica di tali luoghi.
Gli storici del regno interessati di storia locale non di rado conoscevano i templi: oltre ad essere degli ovvi punti di riferimento geografici essi erano stati studiati o quantomeno citati in varie opere di storia locale nel corso dei secoli, con risultati tuttavia generalmente approssimativi e spesso persino di dubbia validità storica. La finalità di questi studi era legata alla catalogazione e all’enumerazione delle “memorie patrie” piuttosto che alla disamina critica del valore artistico intrinseco dei siti presi in esame.
Ogniqualvolta tali monumenti furono descritti dagli storici del regno non fu per coglierne il valore artistico e architettonico, bensì esaltarli come memoria storica del loro territorio. Inoltre l’isolamento interno di molte zone del regno di Napoli portò ad una conoscenza approssimativa dei templi persino nella capitale. Così scrisse nel 1750 il celebre architetto Soufflot riferendosi ai templi di Paestum:
«Come spiegare che questi preziosi monumenti dei Greci siano rimasti sconosciuti per la loro forma e la loro struttura perfino a Napoli che, per via di terra, dista da essi non più di venti o venticinque leghe? D’altro canto, molti “curiosi” andando in Grecia o in Egitto per vedervi e disegnarvi monumenti antichi hanno attraversato il golfo di Salerno e sono probabilmente passati in vista di questi senza neppure scorgerli».
La riscoperta nel diciannovesimo secolo
La scoperta di questi luoghi da parte dei viaggiatori del Grand Tour fu quantomai sensazionale: in tal modo era possibile ammirare le meraviglie architettoniche degli antichi greci senza andare in Sicilia o in Grecia, mete impervie e distanti rispetto a Paestum e, in minor grado, a Metaponto. Una conoscenza più approfondita dei templi di Paestum in contesti settecenteschi la si riscontra inizialmente presso il circolo intellettuale strettosi attorno al conte Felice Gazzola, informato della loro esistenza a sua volta dall’architetto Mario Gioffredi.
E’ probabilmente tramite i contatti con tale circolo che lo stesso Soufflot ne venne a conoscenza. La prima edizione con stampe relativa ai templi di Paestum fu pubblicata a Parigi nel 1764. Il suo autore, G. P. M. Dumont, accompagnò Soufflot nel suo viaggio a Napoli, venendo a contatto anch’egli con il circolo del Gazzola. L’edizione, pubblicata ben 14 anni dopo il suo viaggio a Paestum, godette di una certa popolarità, nonostante l’imprecisione di numerose tavole. Una successiva pubblicazione (1765) fu compiuta in ambito anglosassone da Filippo Morghen.
In essa figuravano sei stampe con vedute dei templi di Paestum, accompagnate da ulteriori vedute di Baia, Pozzuoli e altre antichità campane. Anche questi disegni appaiono relativamente inaccurati. Ci saranno numerose pubblicazioni successive, tuttavia esse, nonostante la presenza di indubbie componenti originali, tratteranno generalmente materiale elaborato o nel circolo di Gazola o derivante dalle edizioni di Dumont e Morghen. Si dovrà aspettare il lavoro del Piranesi per ottenere una pubblicazione capace di restituire a pieno su carta la forza architettonica dei templi di Paestum e la chiarezza dello stile dorico che li compone.
Per quanto concerne invece la riscoperta del tempio di Hera presso Metaponto ci troviamo innanzi ad una vicenda ben più impervia: a differenza di Paestum i collegamenti verso la Lucania erano estremamente più ostici e pericolosi. La provincia era famigerata tra i viaggiatori per essere terribilmente povera, malagevole e infestata da briganti.
Una dei primi viaggi con finalità divulgative compiuto in Lucania fu guidato da Vivant Denon, segretario dell’ambasciata francese a Napoli, personaggio tra l’altro molto vicino a Ferdinando IV. La spedizione si mise sulle tracce della città di Metaponto, della quale non rinvenne tuttavia alcun resto monumentale, salvo il tempio dorico di Hera, le cui spoglie erano sopravvissute ai secoli.
Le incisioni presenti sulle pagine del famoso Voyage pittoresque ou description des royaumes de Naples et de Sicile, frutto di quella spedizione, pubblicato a Parigi tra il 1781 e il 1786, divennero una delle prime testimonianze di un interesse artistico e architettonico verso il tempio di Hera, nel quale il Dennon ritrovava una similarità stilistica con le colonne doriche di Paestum. Un ulteriore impulso alle ricerche relative al tempio di Hera arrivò durante il periodo murattiano.
L’arte classica, ulteriormente rivalutata in tutta Europa grazie al bonapartismo e al gusto imperiale da esso promosso, ebbe sotto Murat un posto di ampio riguardo all’interno dell’autorappresentazione ideologica della corona. Esempio fulgido di ciò viene offerto dalla documentazione numismatica: furono coniate numerosissime medaglie commemorative, il cui stile ricalcava palesemente quello delle monete e delle raffigurazioni classiche; basti pensare alla medaglia in onore di Carolina Murat
Essa fu coniata a Napoli nel 1805, ispirata ad una didracma di Neapolis con toro androcefalo. La stagione di rinnovato interesse archeologico durante il periodo murattiano portò ad una campagna di scavi biennale (1813-14) sul territorio di Metaponto. Tra i reperti rinvenuti a riscuotere un peculiare interesse furono «due mosaici in bassorilievo policromo». Il loro ritrovamento, reso noto tramite una loro pubblicazione da parte dell’Académie des Beaux-Arts Désiré-Raoul Rochette, andò ad inserire gli sviluppi dell’attività archeologica in area metapontina nella più ampia querelle sulla policromia dell’architettura greca.
L’impegno profuso in quegli anni fu successivamente portato innanzi dall’archeologo e numismatico francese Honoré-Théodoric-Paul-Joseph d’Albert, duca di Luynes. Le sue missioni archeologiche, legate principalmente alle città magnogreche del meridione, saranno condotte con la collaborazione dell’architetto JosephFrédéric Debacq.
Tali spedizioni portarono alla pubblicazione del volume Métaponte a Parigi nel 1833. In esso l’autore raccolse «i risultati del suo ultimo viaggio del 1828 sui primi scavi nell’area del tempio di Apollo e del tempio di Hera». In un contesto «sostanzialmente immutato di marginalità» le pubblicazioni del Luynes costituirono un sensibile accrescimento della conoscenza delle testimonianze archeologiche magnogreche della Lucania nel panorama culturale europeo.
–Silvio Sannino
Bibliografia
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