Amori impossibili, Ciclopi inferociti e sirene incantatrici
Per capire la storia di Capri, cominciamo con un racconto. Lei è una giovane leggiadra, delicata e soave. Lui è passionale, focoso e bellissimo. Inevitabilmente, i due si innamorano di un amore totale e assoluto. Lui la chiede in sposa, ma la famiglia di lei è contraria e decide di allontanare la figlia dal pretendente poco gradito. Così, la giovane viene costretta a salire su una nave. Destinazione: “lontana da lui”.
Disperata, lei si getta in mare, nei pressi di un piccola ed incantevole isola. Lui, dalla terraferma, intuisce quello che è accaduto e sale sul monte che domina il promontorio, per continuare a scrutare il mare, alla ricerca della sua amata. Impietrito dal dolore e furioso di rabbia, diventa tutt’uno con il monte, testimone muto della sua sofferenza e, da lì, continua a rimirare, in lontananza, quell’isolotto divenuto, ormai, una sola entità con la sua amata.
E lui, Vesuvio, da allora, piangerà lacrime di fuoco e vomiterà fiumi di lava ogni qual volta il dolore si farà insopportabile. E lei, Capri, bella ed eterea come un sogno, seguiterà a farsi amare da lontano, disperatamente e perdutamente.
Comincia così la storia dell’isola di Capri, piccola gemma incastonata nel mare che bagna Napoli. Comincia così, ma si arricchisce di mille altre leggende.
Le origini di Capri, tra storia e leggenda
Polifemo, accecato da Ulisse e furibondo per la beffa subita, scaglia in mare tre gigantesche rocce, nella speranza di colpirne la nave. Il macigno più grande cade vicinissimo alla costa dell’isola di Capri e diventa “Saetta” o “Stella”: è il Faraglione di Terra. La roccia più piccola, invece, finisce accanto alla più grande e si chiamerà “Scopolo”, il Faraglione di Mezzo. Il terzo macigno cade lontano dagli altri due e sarà il Faraglione di Fuori, lo “Scoglio del Monacone”. Protette dai tre giganti di pietra, trovano riparo le Sirene che, con il loro canto, attirano i marinai e lasciano che le loro barche si sfracellino tra gli scogli.
Se si cercano miti o leggende, a Capri, non c’è che l’imbarazzo della scelta: crescono, cambiano e si moltiplicano in un incantevole mix di storia e di credenze popolari che, dalla notte dei tempi fino ai giorni nostri, avvolgono quest’isola di fascino e mistero, vitalità eppure serenità, pace estatica ed edonismo. Quel che è certo è che sia proprio Capri a lanciare l’incantesimo: chi la ammiri, per la prima volta, ne diventerà schiavo in eterno.
Le origini dell’isola sono, quindi, tanto lontane quanto misteriose. Le sue mura megalitiche sono impossibili da datare con precisione, ma sono antichissime e di Capri dicono una cosa: già in quel tempo era una comunità organizzata, che viveva la propria quotidianità protetta da una cinta muraria maestosa tra le colline di Cesina e del Castiglione. Questa cortina muraria verrà poi sopraelevata in epoca medioevale.
Dalla terraferma all’isola: la storia di Capri
Ma torniamo alle origini, che sono ancora antecedenti le sue mura, e di molto. Parliamo di quando Capri non era ancora un’isola ma l’ultimo promontorio della penisola Sorrentina: non avendo origini vulcaniche, come Ischia e Procida, questa sarebbe l’unica spiegazione possibile per giustificare i ritrovamenti della grotta delle felci, che hanno più o meno 400.000 anni. La vita da isola di Capri sarebbe cominciata molto dopo, circa 10 mila anni fa, portando con sé, però, i resti di animali preistorici le cui “ossa giganti” furono rinvenute da Augusto, uno dei Vip habitué dell’Isola.
I coloni greci, sarebbero arrivati solo molto più tardi e vi avrebbero trovato, ad attenderli, anche una discreta comunità di cinghiali e di capre: ad uno dei due “abitanti indigeni” Capri deve il nome, a seconda che lo si faccia derivare dal greco o dal latino. E, visto che i greci arrivarono lì ben prima dei romani, è probabile che il nome dell’isola fosse un omaggio ai suini selvatici protagonisti, ancora oggi, di alcune ricette tradizionali del posto.
Capre, cinghiali e Sirene
La storia di Capri continua con la colonizzazione da parte dei Greci: è un continuo groviglio di storia e leggenda. Diverse le colonie, diversi i culti e gli ordinamenti: Capri, Sorrento e, in generale, il versante orientale del Golfo di Napoli, sono legati al culto delle sirene. Il fronte opposto, quello occidentale, cui appartiene anche Ischia (Pithecusa), fa invece riferimento a Cuma e ne condivide il culto di Apollo oracolo.
Di un’isola, che pare proprio la fotografia di Capri, si parla nell’Odissea di Omero: distese verdi e rocce ripide sembrano descrivere esattamente l’isola Azzurra e anche Esiodo pare averla incrociata, nei suoi racconti, descrivendola come “l’isola fiorita”.
Insomma, il rifugio perfetto per le Sirene che Servio, nel suo commento all’Eneide di Virgilio, descriverà poi come creature per metà donna e per metà uccello – e non pesce, come da credenza popolare. Il grammatico latino deduce che fossero tre: una cantava, una suonava il flauto e l’altra la lira e sarebbero vissute prima a Pelorias e poi a Caprae, adescando i marinai con i loro canti melodiosi. Immagine bellissima e magica, vero? Peccato però che Servio – sempre lui – ritenesse che si trattasse, più realisticamente, di prostitute. I marinai, quindi, finivano comunque in rovina, ma non certo per colpa degli scogli.
E se proprio si vuol riconoscere, tra tutti, lo scoglio delle Sirene, probabilmente bisogna arrivare al ‘700 e ad un qualche erudito che, letto il commento di Servio, identifica nella Marina Piccola l’habitat naturale perfetto per le pericolose ed ammaliatrici creature.
Capri, Anacapri e la Scala Fenicia
Insomma, tra cinghiali e sirene arrivano i primi Greci, dopo essere già passati per Ischia e Cuma. Siamo intorno all’VIII secolo a.C. e per un lungo periodo, l’isola vive in modo del tutto anonimo, divisa tra due cittadelle che verranno poi unificate. Comincia così la Storia di Capri come la conosciamo oggi.
Una delle due doveva trovarsi dove oggi sorge Capri, all’interno delle mura di cinta. E, anche quella, si ipotizza che fosse il risultato di due insediamenti diversi: uno, tra monte San Michele e il Castiglione – in alto e protetto – e l’altro vicino al porto.
L’altra cittadella, invece, dovrebbe corrispondere all’odierna Anacapri, priva di collegamento al mare se non per mezzo di quella Scala Fenicia – che fenicia proprio non è. Insomma, due insediamenti per due comunità, una sul lato est dell’isola e uno ad ovest; l’una con i collegamenti al mare e l’altra arroccata su un mezzopiano, con le pareti a strapiombo sull’acqua. La medesima impostazione urbanistica delle altre isole greche del mar Egeo.
Ricapitolando, quindi, Capri sorge alla marina, con i due approdi – la Grande e la Piccola, mentre sul monte si staglia Anacapri, completamente priva di sbocchi al mare, collegata alla Marina (Grande) da un sentiero piuttosto impervio che poi diventerà la scala scavata nella roccia dai coloni Greci.
Quel che resta di quel periodo non è molto, ma decisamente significativo. Oltre alla scalinata, è sui resti dell’acropoli che oggi ci si ritrova per l’immancabile aperitivo: proprio lì è situata la celeberrima piazzetta, icona dell’isola tanto quanto i Faraglioni, la Grotta Azzurra e le Sirene.
Il buen retiro dei romani
Con l’arrivo dei Romani, Capri continua il proprio anonimo tran-tran. Finché sull’isola non poggia il proprio sguardo l’imperatore Augusto. Siamo ormai nel 29 a.C. e l’imperatore decide di farvi tappa, al ritorno da una spedizione. Svetonio, biografo ufficiale delle imprese imperiali – oggi sarebbe un prolifico addetto stampa – racconta che, al momento dello sbarco, l’imperatore si fosse imbattuto in una quercia secolare e questa, miracolosamente, avesse ripreso a germogliare. Poteva mai esservi accoglienza migliore? E infatti… L’improvviso vigore, scorto nella quercia, induce l’imperatore a separare Capri da Napoli, che l’aveva dominata per quasi 400 anni, barattandola con l’isola di Ischia.
Fatto l’affare, Augusto ed il suo successore, Tiberio, non riusciranno più a staccarsi da Capri, facendone il loro buen retiro .
Augusto è affascinato dai ritrovamenti di fossili ed armi preistoriche e qui fonda una sorta di primo museo archeologico della Storia. Quanto alla vita sociale, introduce i princìpi romani di amministrazione e si dà inizio alle prime importanti infrastrutture. Del resto, si sa, i romani sono eccellenti ingegneri.
Urbanizzazione e infrastrutture: porti, comunicazioni e rete idrica
Tiberio, il successore di Augusto, si innamora anch’egli dell’isola Azzurra, apprezzandone la naturale inaccessibilità, al punto di scegliere di governare da Capri tutto l’impero. Però è necessario potersi recare a Roma, quando richiesto e, quindi, servono porti e servizi a beneficio della numerosa comunità che, ora, si ritrova sull’isola.
Si narra che Augusto e Tiberio, vi abbiano costruito ben dodici ville, dedicata ognuna ad una diversa divinità. E, in verità, di nove di queste si sono perse le tracce. Delle altre tre, però, vi sono ritrovamenti ben precisi e Villa Jovis è certamente quella più famosa e meglio conservata.
Così prendono forma un porto all’altezza di questo nome, la Grande Marina e la superba Torre del Faro, a Villa Jovis, per comunicare con il dirimpettaio faro di Capo Atheneo, nella penisola Sorrentina e con quello di Miseno. Attraverso una sorta di alfabeto alternativo, composto da fumate e fuochi, le comunicazioni con l’Impero sono garantite in tempo (quasi) reale .
Quanto ai servizi e alle urbanizzazioni, il problema dell’acqua è il più pressante. Le ville sono gigantesche e la popolazione è in continuo aumento; quindi è necessario realizzare cisterne per raccogliere l’acqua piovana ed assicurare un costante approvvigionamento idrico.
Per villa Jovis si progettano un gruppo di contenitori raccolti nel corpo centrale della villa; ma, per la maggior parte delle abitazioni, si scavano cisterne direttamente nella roccia, intercomunicanti tra loro e sezionate da muri, così da ottimizzarne l’uso. Le pareti sono impermeabilizzate da una passata di buon intonaco signino a tenuta idraulica, che i romani ben conoscono. Quanto alle cisterne, le più grandi e profonde hanno vasche di sedimentazione e scale di discesa per consentirne l’annuale svuotamento per la pulizia ed il successivo riempimento, grazie ad una volta di copertura che funziona da piano raccoglitore.
Per quanto riguarda, invece, la fornitura idrica pubblica, il serbatoio comune viene realizzato nella località di Soprafontana.
Intanto, la popolazione di Capri si distribuisce verso la marina.
Sono i dieci anni – dal 27 al 37 d.C. – in cui Capri è, nei fatti, la capitale dell’impero Romano.
Con Amalfi e gli angioini
Morto Tiberio, però, l’isola piomba nel più totale anonimato e, con la fine dell’epoca imperiale, si ritrova a subire le scorribande continue dei pirati saraceni, così come tutte le altre città del Golfo di Napoli. Per difendersi dalle incursioni, ai capresi non resta che trasferirsi in un centro abitato, più elevato e difendibile dalle aggressioni via mare: tra il VII ed il X secolo, si costruisce un castello fortificato e si rinnova la cinta muraria originaria.
Comincia a prendere forma un primo embrione di Comune, un nuovo passo nella Storia di Capri.
Dalla Repubblica Marinara di Amalfi fino alla dominazione angioina, Capri subisce una serie di profondi mutamenti. Con la fondazione delle certose e dei conventi, anche il nucleo urbanistico si separa e nascono due comunità con propria autonomia giuridica ed organi elettivi locali, riuniti in una “universitas”. Un nucleo comprendeva la città, ovvero il centro urbano all’interno delle mura di cinta. L’altro agglomerato, invece, era detto terra e si riferiva alla campagna, rappresentata da Anacapri, dove si trovano le torri ed il castello.
Per circa tre secoli, il destino di Capri è saldamente legato a quello di Amalfi ma, successivamente, segue le sorti del Regno di Napoli e Sicilia. Divenuta sede vescovile, si ritrova con un’antica cattedrale collocata fuori dalla cinta muraria, verso la Marina. Troppo rischioso. Quindi, per motivi di sicurezza, le funzioni si trasferiscono dentro la città, nella chiesa di Santo Stefano, sorta sulla celebre piazzetta e, dunque, protetta dalla cinta muraria.
Le invasioni dei pirati saraceni
La difesa principale di Capri è affidata al castello, custodito da un manipolo di uomini cui si aggiungono, nei momenti di maggior pericolo, gli abitanti dell’isola. E, con l’arrivo degli spagnoli, la difesa della città ricade completamente sulle spalle degli isolani che, a partire dal XVI secolo, dovranno provvedere, a proprie spese, al mantenimento dell’arsenale e delle guarnigioni di difesa.
Ed è il motivo per il quale agli abitanti di Capri fu concesso di indossare armi, privilegio riconosciuto loro soltanto perché potessero provvedere autonomamente a vigilare e a proteggere l’isola. Abbandonati praticamente a loro stessi, i capresi affrontano i pirati saraceni in innumerevoli occasioni, subendo devastazioni e saccheggi e finendo, persino, venduti come schiavi nei mercati del Maghreb. Capri fu incendiata e saccheggiata non meno di sette volte, tra il 1500 ed il 1700.
I Borbone e il “sacco di Capri“
Nel Settecento, Carlo di Borbone ordina i primi scavi archeologici sull’isola, per recuperare reperti provenienti dalle splendide dimore fatte costruire dagli imperatori romani Augusto e Tiberio. Il “sacco di Capri” ha arricchito di meraviglie palazzi nobiliari, chiese e cattedrali: statue, mosaici e pavimenti finirono ad abbellire la Reggia di Caserta e il museo di Capodimonte. Gli scavi archeologici voluti da Carlo III e da suo figlio Ferdinando IV, sventrarono letteralmente le antiche ville imperiali a beneficio dei nuovi palazzi borbonici. Il pavimento di Villa Jovis, però, almeno rimase a Capri: fu destinato alla già magnifica cattedrale di Santo Stefano. Magra consolazione.
Archiviati i Borbone e la Repubblica Partenopea, Capri, dopo una breve occupazione francese, finisce nelle mani degli inglesi. Sotto la guida di un militare della corona britannica, il col. Hudson Lowe, Capri viene fortificata in ogni modo possibile. Ma la “Piccola Gibilterra” – come è stata ribattezzata dopo restyling inglese– non resiste. Un’abile manovra militare – ideata da Gioacchino Murat e guidata dal generale Lamarque – riporta Capri in mani francesi. E, così, siamo arrivati al 1808.
Ancora invasioni: i turisti
E, da questo momento, la Storia di Capri vive un altro tipo di invasione: quella dei turisti.
Sono due visitatori stranieri che, nel 1826, accompagnati da un pescatore del posto, svelano al mondo l’esistenza della Grotta Azzurra, quella stessa che aveva stregato, secoli prima, Augusto e Tiberio. La storia delle bellezze dell’isola, unita alla fama di dissolutezza e perversione che ammantava la figura dell’imperatore Tiberio, ne fanno ben presto una località che la “meglio gioventù” dell’epoca deve obbligatoriamente inserire nel Gran Tour.
Nobili rampolli, ricchi e viziati, ne fanno una tappa obbligata ed imprescindibile della loro educazione e l’isola riscopre così l’antica vocazione all’accoglienza, dimenticata e sepolta nei secoli. Tra l’800 ed il ‘900, Capri si arricchisce di servizi ed infrastrutture essenziali per trasformarsi in una moderna ed efficiente stazione turistica di fama internazionale. Un decreto governativo la dichiara Stazione di Cura, Soggiorno e Turismo e l’isola, da allora, continua a crescere nell’arte dell’accoglienza.
Se ne accorgono perfino gli Alleati che, nel ’43, si servono di Capri come centro di riposo per le truppe impegnate a combattere i tedeschi nel Mediterraneo.
Da Jackie Kennedy a Totò: Capri è la meta di celebs e paperoni
Finita la guerra, per la Storia di Capri comincia un’altra stagione d’oro, paragonabile solo a quella della Roma imperiale.
Jet-set, intellettuali, premi Nobel, il gotha della politica internazionale, paperoni dell’industria e del petrolio, sparsi ai quattro angoli del mondo, non riescono a rimanere lontani da Capri.
Jackie Kennedy, occhiali scuri e camicia annodata sui pantaloni al polpaccio – mica per niente si chiamano Capri – passeggia in ciabattine lungo la Marina. Brigitte Bardot e Liz Taylor entrano ed escono dagli alberghi capresi sotto i flash dei paparazzi. Rita Hayworth si innamora mentre lo Scià di Persia e sua moglie, Soraya, sorseggiano un drink ai tavoli della Piazzetta, a poca distanza da Farouk, re d’Egitto.
Tra una guerra e l’altra, da Gorkji a Marinetti, da Moravia a Malaparte, da Graham Greene a Raffaele La Capria vi hanno cercato – e trovato – ispirazione per le loro opere.
E infine, Totò, il principe … chi, se non lui, poteva immortalare l’isola delle sirene? Da “Totò Imperatore di Capri” a “Totò a Colori”, è tutto un omaggio alla magnifica e superba Perla del golfo di Napoli.
Alberghi faraonici, ville miliardarie, boutique con le griffes più prestigiose e le maison che hanno fatto la storia della moda: tutto concentrato nei pochi metri quadrati dell’isola, che sembra perpetuare il proprio splendore quasi indifferente a quel che accade altrove.
Approdare sull’Isola delle Sirene significa davvero fare un salto in un’altra dimensione, dove l’altrove non sembra, davvero, esistere.
E’ Capri, indolente, seducente, sdraiata nel mare, bellissima mentre intona il suo canto d’amore. Di fronte, Vesuvio l’ammira, estasiato. E l’antica rabbia ribolle, lentamente e senza sosta!
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