Alessandro Manzoni e Napoli: c’è mai stato un rapporto? E di che tipo? Bel dilemma! Per rispondere al quesito si può ricorrere a due volumi intitolati entrambi “Manzoni e Napoli“, scritti tra il 1958 e il 1963 da Parenti e Zaniboni. Prima però è opportuno spendere due parole sul Manzoni uomo, aspetto forse meno conosciuto ai più. Il suo animo profondamente milanese sarà infatti un dettaglio non trascurabile per analizzare l’idea che lo scrittore aveva di Partenope e dei suoi abitanti. In questo può essere d’aiuto una visita, benché virtuale, alla sua dimora meneghina, oggi trasformata in un importate museo che conserva in maniera tangibile il suo spirito.
La casa museo del Manzoni
A pochi passi dal Teatro della Scala di Milano, in via Gerolamo Morone 1, si erge un elegante palazzetto dalle tinte aranciate. E’ la casa dove Alessandro Manzoni visse gli anni più importanti della sua lunga esistenza. Acquistato nell’ottobre del 1813 per la cifra di 107.000 lire, il palazzo ha un aspetto garbato e signorile che rispecchia perfettamente l’animo del grande scrittore. Vagando per gli ambienti adeguatamente recuperati in una recente opera di ristrutturazione, si respira un’aria serena in cui non è difficile raffigurarsi il Manzoni comporre le sue opere nel silenzio dello studio, seduto al piccolo tavolino rivolto verso il riposante giardino.
E’ in egual modo facile immaginare il gran vociare dei piani superiori, animati dalla presenza della numerosa prole dello scrittore. Manzoni ebbe infatti 10 figli, tutti nati dal primo matrimonio con Enrichetta Blondel, sposata nel 1808. In realtà, le seconde nozze con Teresa Borri Stampa portarono alla luce due gemelline, morte però nell’immediatezza del parto. Manzoni ebbe una vita lunga e solo due figli, Vittoria ed Enrico, gli sopravvissero. La casa dopo la sua morte fu venduta dagli eredi al conte Bernardo Arnaboldi Gazzaniga e solo nel 1965, terminati importanti restauri, venne adibita a museo.
L’uomo Manzoni
Ma che uomo era Manzoni? Sicuramente la sua natura era molto lontana dalla vigorosa indole napoletana. Era una persona mite, amante della quiete e un eccellente botanico. Egli fu infatti il primo a coltivare i limoni nella sua tenuta del Brusiglio. Inoltre, curava personalmente un importante frutteto che comprendeva centinaia di alberi da frutto. Proprio in questa vocazione bucolica, si registra la prima traccia del suo rapporto con Napoli. Tra le varie coltivazioni del vasto parco figurava anche il cotone, i cui semi venivano reperiti dal Manzoni proprio in Campania. Tra i maggiori fornitori napoletani bisogna ricordare il marchese Alfonso della Valle di Casanova, filantropo e cultore della letteratura italiana. Con il della Valle, Manzoni mantenne un buon rapporto epistolare; nelle missive i discorsi sulla botanica si univano a quelli di natura letteraria.
Un gran camminatore
Per l’epoca in cui visse, Manzoni morì vecchissimo, a 88 anni, per via di una banale caduta. Una vita lunga e tranquilla, scandita da lunghe camminate e da un grandissimo amore per la natura. Con le belle giornate, Manzoni era solito andare a piedi alla sua tenuta del Brusiglio, distante ben 11 chilometri dalla casa milanese. Di sicuro Manzoni preferiva le passeggiate ai viaggi ed è cosa certa che non venne mai a Napoli. Del resto la sua organizzazione per gli spostamenti più importanti non doveva essere delle migliori. Difatti, nell’estate del 1827, lo scrittore impiegò ben quaranta giorni per arrivare da Milano a Firenze dove vi fu la famosa “risciacquatura dei panni in Arno”.
Le amicizie napoletane
Come si sa moltissimi intellettuali hanno avuto, direttamente o indirettamente, rapporti con Napoli e Manzoni non fu da meno. Nonostante non sia mai venuto in città, nel corso degli anni lo scrittore strinse diversi rapporti di amicizia con alcuni Napoletani giunti a Milano perché sfuggiti alle forche della tumultuosa rivoluzione napoletana del 1799. Tra questi si ricordano il saggista Pietro Napoli Signorelli, lo storico e politico Carlo Troya e Carlo Filangieri, figlio del giurista e filosofo Gaetano. Queste relazioni giovanili ebbero un effetto positivo sulla formazione umana del Manzoni, all’epoca “fervido di prorompenti sentimenti liberali venati di ribellione”.
Francesco Lomonaco
Tra le amicizie del Manzoni non figurano solo napoletani di nascita, ma anche d’adozione come lo scrittore Francesco Lomonaco, considerato un precursore del Risorgimento. Lomonaco, grande amico anche di Ugo Foscolo, è stato il primo a pubblicare uno scritto del Manzoni: si tratta del sonetto Per la vita di Dante, posto in fronte al volume Vite degli eccellenti italiani pubblicato nel 1802. Manzoni aveva appena compiuto diciassette anni. Una tesi mai confermata riferisce che Lomonaco sia stato l’ispiratore de I promessi sposi. Pare infatti che abbia donato al Manzoni un manoscritto raccolto nell’Abbazia di San Michele Arcangelo (sita a Monticchio, in Basilicata) che parlava di due sposi promessi di Monticchio il cui amore era ostacolato da un signorotto spagnolo.
Vincenzo Cuoco
Anche lo storico Vincenzo Cuoco ebbe un’importante influenza sul giovane Manzoni. La loro amicizia, iniziata nella primavera del 1801, si consolidò fortemente negli anni. Il ricco scambio epistolare testimonia l’intenso dialogo culturale nato tra i due. Cuoco lo avvicinò al pensiero di Giambattista Vico della cui filosofia lo scrittore meneghino apprezzò l’esigenza di ricondurre i fatti umani a un principio unico che dia loro senso. Per Manzoni, esso è la Provvidenza divina. Cuoco fece anche leggere, in anteprima, al Manzoni il suo Platone in Italia, originale esempio di romanzo storico scritto in forma epistolare.
Riproduzioni illecite
Le amicizie giovanili fecero nascere in Manzoni un sentimento di forte simpatia verso i Napoletani. Questa, però, venne in parte offuscata da alcuni episodi spiacevoli. Il primo risale al 1841, quando arrivò al Manzoni la notizia che un certo stampatore napoletano, tale Gaetano Nobile, era pronto a stampare alla macchia un’edizione economica de I promessi sposi. Va detto che Manzoni già in passato si era dovuto salvaguardare dalla pubblicazione non autorizzata del suo romanzo, che inizialmente presentava solo la parte narrativa ed era priva di illustrazioni. Queste furono aggiunte in un secondo momento per un duplice scopo. Da un lato Manzoni voleva mostrare ai lettori come lui aveva immaginato la storia, dall’altro voleva rendere difficile la pirateria del romanzo. Fin dalla prima pubblicazione nel 1827 l’opera aveva subìto, infatti, numerosi tentativi di contraffazione arrivando, solo in Italia, a sessantaseimila copie non autorizzate.
Ma evidentemente per Nobile le illustrazioni non furono un gran problema dato che le riprodusse con notevole meticolosità. Se non fosse stato per il pronto intervento di Del Carretto, Ministro di Polizia del Regno delle Due Sicilie sollecitato dal Manzoni, l’operazione sarebbe andata in porto. Trascorsero solo poche settimane e il Nobile ci provò nuovamente, questa volta riuscendoci, stampando in formato economico un’altra opera manzoniana. Si trattava della Storia della Colonna Infame, appena pubblicata ufficialmente in quel di Milano. Il libraio partenopeo colse l’occasione al volo e stampò velocemente il volumetto vendendolo alla modesta cifra di 40 grani. Una piccola vendetta!
L’orologio rubato
L’altro evento fu ugualmente doloroso per il Manzoni. Nell’ottobre del 1869 debuttò al Teatro sociale di Lecco l’opera in quattro atti I promessi sposi, scritta dal maestro Errico Petrella su libretto di Antonio Ghislanzoni. Il successo fu grande e un entusiasta Manzoni regalò al Petrella un bellissimo orologio da taschino. Il regalo, graditissimo, faceva sempre bella figura sui ricercati abiti del Petrella. Un giorno il maestro si recò Napoli per controllare alcune proprietà avute in dote della moglie, site alle rampe San Marcellino. Qui stanziava un gruppetto di scugnizzi che, adocchiato il bell’orologio, lo rubarono con mano lesta. Il Petrella, distratto, non si accorse di nulla; solo in un secondo momento notò la sparizione del prezioso regalo! Riferito il fatto allo scrittore, questi si sentì nuovamente tradito dalla città.
Il valore pedagogico del pensiero napoletano
Se si tralasciano gli episodi “negativi”, testimonianze di quella proverbiale arte di arrangiarsi tutta partenopea, la relazione che Manzoni ha avuto con la cultura napoletana è stata positiva. Gli anni della sua formazione sono stati fortemente condizionati dalle idee che in quegli anni andavano prendendo forma nel contesto campano. E molto probabilmente alla nascita della variegata ideologia manzoniana ha contribuito anche la “vivacità” di Napoli, la città-mondo d’Italia.
Bibliografia
Marino Parenti, Manzoni e Napoli, Sarzana, Carpena, 1958
Maria Zaniboni Rivieccio, Manzoni e Napoli, Napoli, Edizioni di Gabriele e Mariateresa Benincasa, 1963
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