I residenti di Corso Amedeo lo chiamano ancora “Parco ex Birra Peroni”, anche se ormai delle antiche birrerie meridionali non c’è più nulla. Anzi no.
Guardando con attenzione per terra si scorge un sampietrino con una scritta oggi senza più valore, all’ingresso di un parco residenziale: “Proprietà di Birra Peroni S.p.A.”.

In questo dettaglio, che sopravvive triste come una piccola colonna che un tempo era parte di un grande tempio, si nasconde la storia di uno dei primi birrifici d’Italia e sicuramente il più grande. Nacque come Birrerie Meridionali per mano di imprenditori svizzeri, ma oggi è ricordato per la Birra Peroni, che rilevò la società napoletana negli anni ’20 e chiuse lo stabilimento solo nel 1953.

Birrerie Meridionali

L’anno era il 1851 e a Napoli regnava Ferdinando II. La città era in pieno fermento economico ed industriale grazie alla politica protezionista borbonica che aveva creato un mercato interno abbastanza autosufficiente ma che, dopo l’Unità, ebbe un vero e proprio collasso.
All’epoca la tradizione della birra era una cosa da tedeschi e la “bionda” italiana era preparata in pochi stabilimenti privati, abbazie e monasteri, per lo più nel nord del paese (il primo, marchio italiano, la Wuhrer, è nato nei domini austriaci). D’altronde, nel paese del vino e degli antichi liquori era davvero difficile poter introdurre un alcolico nuovo!

I tempi, però, erano maturi come il grano da far fermentare e Luigi Caflisch, imprenditore svizzero famosissimo per le sue pasticcerie, decise di costruire una gigantesca fabbrica a Via Nuova Capodimonte, l’ex Corso Napoleone costruito da Murat.

Gli svizzeri non fanno mai le cose per caso: il Corso, oltre ad essere una zona facile da raggiungere e poco lontana dal centro città, era costruita anche a ridosso di gigantesche cave di tufo che, storicamente, sono l’ambiente ideale per la conservazione del cibo: un microclima fresco e costante, il miglior frigorifero naturale che esista.

Stabilimenti Birra Peroni
Gli stabilimenti del birrificio, dietro si nota la Reggia di Capodimonte

Nasce la Birra Napoli

La birra, per cinquant’anni, non riuscì proprio ad attecchire nel Bel Paese: era una bevanda per appassionati in lenta e costante crescita: il vino paesano, per il popolo, era un mito imbattibile ed era anche più economico. E allora gli svizzeri Caflisch, nel 1904, decisero di vendere lo stabilimento ad altri imprenditori napoletani, per dedicarsi completamente all’industria dolciaria.

Difficile da credersi, ma un imprenditore svizzero sbagliò le previsioni: dopo la Grande Guerra del ’15-’18, le nuove generazioni di italiani andarono matte per la birra. E nel 1919 la birreria di Capodimonte presentò la Birra Napoli, una operazione di rebranding del marchio “birrerie meridionali”, che ormai era percepito come troppo vecchio.
Fu un modo di rendere identitaria, giovane e commercializzabile la stessa birra conservata dentro le fresche cavità di Capodimonte. E l’operazione riuscì con un successo stratosferico, anche grazie alla pubblicità fatta senza badare a spese: furono ingaggiati i migliori artisti dell’epoca per realizzare manifesti e locandine memorabili, che ancora oggi troviamo nei pub di tutta la città.

Arriva la Birra Peroni

Il successo dell’impresa napoletana fu notevole e sull’attività caddero subito gli occhi di Cesare Peroni, che già era proprietario di un’impresa che puntava al dominio dell’intero mercato. Aveva infatti deciso di realizzare un’attività di espansione italiana del marchio, comprando tutti i piccoli birrifici della penisola: fu una scommessa rischiosa, ma vinta: la birra commerciale, complice anche il costo basso, era ormai fissa sulle tavole del popolo.

Partita dalla lontana Vigevano in Lombardia, Birra Peroni in quasi un secolo l’attività si era lentamente spostata verso Sud ed aveva sede legale a Roma.

Cavità Garage Capodimonte
Residui degli stabilimenti all’interno della cavità dove si conservava e produceva la birra. Gli ingressi sono murati ed è pericoloso avventurarsi. Metà tunnel è diventato garage, un’altra parte ospita l’acquedotto

Al piano di unità birraia italiana di Don Cesare mancavano solo i territori del Regno di Napoli: dopo aver aperto uno stabilimento a Bari, che spiega il perché la città pugliese sia ancora oggi fra le maggiori consumatrici del marchio, puntò a Napoli. Nel 1929 acquistò tutte le azioni di Birrerie Meridionali. Poi, non contento, acquistò poco dopo anche Birra Partenope, l’altra birreria di Napoli, e fuse tutte le società in “Birra Peroni Meridionale”, con sede a Napoli.

Se Vittorio Emanuele diventò re d’Italia con un esercito, Cesare Peroni diventò l’imperatore della birra italiana con una politica d’impresa spregiudicata.

Per giunta la fortuna sorrise al proprietario dell’impresa romana: il prezzo di vendita della fabbrica di Capodimonte fu particolarmente basso perché, per errore, non furono inventariati i magazzini, che in realtà erano le enormi cave che si trovavano alle spalle dello stabilimento industriale, che oggi sono un garage.
Quando Cesare Peroni inaugurò la nuova gestione degli stabilimenti di Birra Peroni Meridionale, quindi, si trovò con un magazzino pieno di birre già prodotte e bottiglie vuote da riempire che, di fatto, aveva ricevuto in regalo. Mica male!

Stabilimenti Birra Peroni Capodimonte
Corso Amedeo, gli stabilimenti di Birra Peroni

La chiusura di Capodimonte

Lo stabilimento Birra Peroni di Capodimonte sopravvisse anche alla II Guerra Mondiale e fu salvato proprio da un dipendente che, guidando un manipolo di ribelli, riuscì a fermare un gruppo di tedeschi giunto con l’intento di far saltare per aria la fabbrica. Le attività ripresero addirittura durante la guerra, nel 1944, e continuarono per 11 anni.

L’avventura si concluse nel boom economico, quando Corso Amedeo diventò una zona residenziale e i Colli Aminei erano un immenso cantiere.

La birra, complice anche la moda americana, era ormai diventata oggetto di larghissimo consumo in Italia. E Franco Peroni, figlio di Cesare, continuò la politica d’investimento: spese una ingente quantità di denaro per creare, fra il 1953 e il 1955, il più moderno stabilimento industriale d’Italia“.
Ci riuscì, addirittura inaugurando un ristorante, “la Terrazza”, in cui era possibile mangiare una pizza con una birra spillata direttamente dalle riserve fresche della fabbrica, ispirandosi ai pub del Nord Europa. Anche quello fu un successo. L’antico stabilimento di Capodimonte, invece, fu demolito per far posto ad edifici residenziali.

Birra Peroni Capodimonte straniera
Etichetta di una birra destinata per l’estero prodotta negli stabilimenti di Capodimonte

Oggi la Peroni ha ripreso nello scatolone dei ricordi il marchio “Birra Napoli”, proprio come fece l’impresa napoletana esattamente un secolo fa. E, proprio come nel 1919, è stato un successo commerciale.
Purtroppo, però, di napoletano la birra ha solo il nome: gli stabilimenti di Miano furono chiusi nel 1995 e, dopo vent’anni d’abbandono, sono diventati un centro commerciale. Di Capodimonte, invece, è rimasta solamente una lapide consumata che ricorda un’avventura birraia durata un secolo.

-Federico Quagliuolo

Grazie a Carlo Restaino per avermi suggerito il tema e per avermi portato nei luoghi ormai ex Peroni. Sostieni Storie di Napoli con una donazione!

Riferimenti:
Daniela Brignone, Birra Peroni: Centocinquant’anni di birra nella vita italiana, Electa, 1996
http://www.birraperoni.it/la-storia-birra-napoli/
Gino Doria, Storia di una capitale
http://archiviostorico.birraperoni.it/peroni-web/

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