La mozzarella è uno dei prodotti più noti della gastronomia campana!
La sua storia è molto antica e affonda le radici negli albori della cultura partenopea, ma non solo. Nell’analizzarla, scopriremo infatti che il suo rapporto con la provola è molto più complesso di quanto sembri.
Etimologia
Su questo pare ci siano pochi dubbi: il termine “mozzarella” deriva da una fase della sua lavorazione.
Il “mozzare”, infatti, indica il gesto di recidere manualmente la pasta filata nei vari singoli ovuli che corrispondono alla tipica forma del latticino. In effetti “mozzarella” nasce come diminutivo di “mozza”. Quest’ultimo, insieme a “provatura”, era il termine utilizzato per indicare la provola in passato.
Si tratta di un’ulteriore dimostrazione dello stretto legame tra questi due prodotti caseari. Ma per comprenderlo al meglio bisogna fare un salto nel passato.
Storia della mozzarella
Il primo a parlare per la prima volta di “mozzarella” in un testo fu Bartolomeo Scappi.
Era un cuoco della corte papale ai tempi del Vicereame napoletano. Nel suo libro di cucina, datato 1570, si utilizzano queste parole:
“…capo di latte, butirro fresco, ricotte fiorite, mozzarelle et neve di latte…”
Le mozzarelle di cui parla Scappi erano quelle prodotte, tradizionalmente, nei campi tra il Salernitano e il Casertano. Una tradizione che, come è facile immaginare, perdura anche ai giorni nostri. Le due province campane, infatti, rappresentano i due bacini principali di produzione di latticini. Una vera dualità che spesso sfocia in sterili confronti.
Così come per la provola, la produzione di mozzarella è strettamente legata alla presenza di bufali nei territori campani. Taluni studiosi sostengono che questi splendidi animali siano autoctoni, altri invece ritengono siano stati importati secoli fa dai Longobardi, dai Normanni o forse dagli Arabi.
Ad ogni modo, la presenza di bufali in Italia è attestata già tra il XII e il XIII secolo, nei territori del Sud della penisola. E ad oggi, questi animali rappresentano una vera e propria risorsa del nostro territorio.
È giunto dunque il momento di spiegare quale sia l’effettivo legame tra la provola e la mozzarella: una, “figlia” dell’altra.
La “figlia” della provola
Non tutti lo sanno, eppure secoli fa, il latticino dominante nel napoletano era la provola.
La sua preparazione richiedeva tempi lunghi: 48 ore per poi passare alla caratteristica fase dell’affumicazione, che rendeva il prodotto più adatto alla conservazione, al trasporto e alla vendita. Un processo lungo, dunque, ma che garantiva un altrettanto lunga conservazione.
La mozzarella, siccome non subiva il processo di affumicazione, si prestava meno alla conservazione. In un certo senso costituiva un sottoprodotto della provola, per pochi intenditori. La sua difficile conservazione e la sua necessità di essere mangiata “fresca” la destinavano più a una produzione familiare che alla vendita, in quanto non reggeva i lunghi viaggi.
Il successo della mozzarella però arrivò durante l’epoca dei Borbone: nella seconda metà del ‘700 fu insediato un caseificio nella Tenuta di Carditello. Si dice che Carlo di Borbone fosse estremamente goloso di mozzarella di bufala, tant’è vero che anche a Capodimonte, poi, arrivò la “Vaccheria Reale”.
Presto arrivarono caseifici in tutto il Sud Italia, con le varie regioni che si specializzarono nella produzione di diverse forme di formaggio fresco, dalla “burrata” pugliese alla storica diatriba fra le mozzarelle aversane e quelle di Battipaglia.
La storia della mozzarella è antica quanto quella dell’intera cultura eno-gastronomica campana. Un viaggio lungo e complesso, attraverso popoli e culture differenti, che si concretizza in un unico, iconico prodotto.
Fonti
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