Mattia Preti fa parte di quella generazione di artisti che, per tutto il Seicento, trasformò Napoli in un centro artistico di assoluto livello nel panorama nazionale. Insieme a tanti suoi illustri colleghi (Giordano, Spagnoletto, Battistello e ovviamente il grande Caravaggio), lasciò un segno indelebile nella città partenopea, diventando un protagonista della pittura di quel secolo. Un Cavaliere che impartiva lezioni a suon di… pennello!
Mattia Preti, le origini
Mattia Preti nasce il 24 febbraio 1613 a Taverna, città calabrese nell’attuale provincia di Catanzaro. In giovanissima età parte per Roma in compagnia del fratello Gregorio, anche lui pittore.
Ed è proprio nella capitale che inizia a formare la sua pittura. Si confronta con i modelli dei grandi maestri, più o meno vicino a lui nel tempo (Raffaello, Annibale Carracci, Guercino e tanti altri, anche stranieri) ma anche con le statue classiche che si potevano ammirare nella Roma aristocratica e papale. Ciò gli permette di maturare uno stile pittorico tutto suo.
Nel 1640 Mattia Preti apre la sua bottega, acquisendo sempre più notorietà. Gira molto per l’Italia e anche fuori, arrivando fino a Malta, come fece il grande Caravaggio.
A Roma, insieme al fratello Gregorio, riceve diverse commissioni. Giunge a Napoli nella metà degli anni ’50 del ‘600, potendo contare sull’appoggio della famiglia Schipani.
Un “Cavaliere Calabrese” a Napoli
Mattia Preti viene chiamato anche “Cavaliere Calabrese“. Questo soprannome si spiega in parte con la sua origine, e in parte con la nomina a cavaliere impartita dal papà Urbano VIII negli anni in cui il pittore lavora a Roma.
Secondo alcune fonti, Mattia Preti fino a 26 anni veniva indicato anche come il “napoletano“. Non perché lavorasse a Napoli (o meglio, non ancora! Giunge nella capitale partenopea solo successivamente) ma perché all’epoca la sua città natale Taverna faceva parte dei Viceregno spagnolo di Napoli.
Il soggiorno napoletano di Mattia Preti non fu molto lungo. Molto probabilmente giunge a Napoli nel 1656, dopo una serie di peregrinazioni in giro per l’Italia. Per alcuni il suo primo incontro con la città avviene invece qualche anno prima.
Nonostante la sua breve sosta a Napoli, l’esperienza di Mattia Preti a Napoli è considerata da molti studiosi come una delle più felici di quegli anni, lasciando un segno tangibile in città.
Tra le commissioni più celebri, ma purtroppo oggi perdute, rientra un ciclo di sette affreschi commissionato dalla Confraternita degli Eletti, da collocare sulle sette porte della città. A seguito della terribile peste che colpisce la città in quegli anni, si decide di eseguire una serie di affreschi devozionali con protagonisti i santi protettori della città. Come si può notare da un bozzetto oggi conservato a Capodimonte, i soggetti sacri sono spesso attorniati da una serie di toccanti episodi di sofferenza e di umana pietà.
Ma le commissioni napoletano che Mattia Preti riceve sono numerose, e molte delle sue opere si trovano sia all’interno dei musei che nelle chiese cittadine. Tra queste vanno citate le tele incastonate al soffitto della navata e della crociera della chiesa di San Pietro a Maiella, nel centro storico della città.
A Napoli Mattia Preti lasciò un segno duraturo (testimoniato anche dalla presenza di due sue discepoli: Domenico Viola e Giuseppe Trombatore!). Un’eredità che solo i grandi artisti hanno il privilegio di consegnare ai posteri.
Fonti
- P. De Vecchi – E. Cerchiari, Arte nel tempo. Dalla crisi della Maniera al Rococò, Bompiani, 2004;
- G. Bora – G. Fiaccadori – A. Negri, I luoghi dell’arte. Dalla Controriforma all’Impressionismo, Electa 2010;
- AA.VV. – Caravaggio e Mattia Preti a Taverna: un confronto possibile, Gangemi 2015;
- V. Napolillo – Mattia Preti. Artefice del Seicento, Edizioni Orizzontali Meridionali 2013.
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