La zandraglia, la capera e l’inciucessa sono tutti appellativi in lingua napoletana che vengono affibbiati a donne chiassose, poco eleganti e pettegole. Non c’è dubbio che questi termini sono utilizzati come dispregiativi per denotare persone del tutto lontane da una visone di donna angelicata. Scopriamo insieme le loro origini, che si rinvengono in fatti storici e non solo.

La zandraglia e i monsù

Zandraglia
La zendraglia – Foto di K.Weise

“Zandraglia”, o anche “zendraglia”, è un termine che viene attribuito a donne chiassose, che litigano e si accapigliano. La sua etimologia deriverebbe, secondo alcuni, dallo spagnolo, altri invece ritengono derivi dal francese.

Dallo spagnolo “andraje” (ossia “straccio”), la zandraglia indicherebbe la stracciona, ma questa traduzione non è congeniale con il vero senso per cui viene utilizzato. Più plausibile è, invece, l’etimologia francese.

A fine Settecento, i cuochi del Regno di Napoli venivano mandati da Carolina d’Austria alla corte di Parigi per imparare le ricette che più piacevano ai reali. Dalla storpiatura del termine monsieur, nome con il quale essi venivano chiamati al rientro dalla trasferta, deriva il loro appellattivo: i “monsù“. Questi cuochi cucinavano tanta carne, ma di animali di cui non venivano utilizzate le interiora perché erano considerate impure e dunque alimento troppo povero per essere mangiato dalla famiglia reale. 

I monsù svisceravano gli animali e lanciavano le interiora dalla finestra di corte per permettere al popolo affamato che aspettava al di sotto di essa di prenderle per sfamarsi. Quando il cuoco lanciava le interiora all’esterno gridava: “les entrailles!”, da qui, dunque, il termine napoletano “zandraglia” o “zendraglia”. E nel momento in cui queste interiora venivano lanciate, le donne si accapigliavano per cercare di acchiapparle in maniera rude e poco signorile.

Nella lingua napoletana, la donna di malaffare non è solo una zandraglia, una vaiassa, fundachera o vrenzola, ma spesso le si associano termini che, astrattamente, derivano dalle conseguenze di una serie di cattivi odori corporali: “pereta” o, peggio ancora, “zombapereta“, cioè colei che è di facili costumi e che “salta” di letto in letto, da un uomo ad un altro.

La capera non è solo la parrucchiera

Una persona pettegola, linguaccia, intrigante è detta capera“: riporta notizie altrui, raccolte un po’ in giro, spesso ingigandite ed arricchite anche di notizie false.

Teoricamente la “capera” sarebbe la parrucchiera a domicilio, ma a Napoli è nota più per le sue doti di propagatrice di notizie piuttosto che per le sue doti di pettinatrice, dotata di una straordinaria capacità di impapocchiare di chiacchiere e che attacca inutili e noiose discussioni.

La lingua napoletana è colta, ma soprattutto storica, e il termine più antico per indicare una capera è proprio “trummetta a Vicaria”, nome che si dava nel Seicento al banditore del tribunale della Vicaria quando annunciava per strada, con l’uso di una trombetta, la prammatica che informava nuove pene e nuovi regolamenti a tutta la gente.

Un altro termine che viene utilizzato per indicare una persona pettegola è anche “inciucessa“, ossia una seminatrice di discordie. Di derivazione onomatopeica, l’inciucessa è colei che pratica l’”iciuciu“, cioè quel parlottìo tipico di chi sta confabulando.

Bibliografia

Amedeo Colella; Mille Paraustielli di cucina Napoletana; Cultura Nova; 2019

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