Ognuno di noi è così tanto abituato ad ascoltare e parlare il napoletano che, oramai, è come se lo si considerasse innato nel mondo, esistente dalla notte dei tempi. Il legame dei napoletani con il loro dialetto è indissolubile. Quasi come fosse nato per magia e, di nascosto, fosse entrato a far parte della vita di tutti noi.

Ma il napoletano è caratterizzato, in realtà, da un percorso di formazione molto lungo e tumultuoso. Per prima cosa, non possiamo prescindere dal fatto che la storia di Napoli è sempre stata molto ricca: numerosi popoli si sono avvicendati nella nostra città e tutto ciò ha naturalmente influito sulla formazione del protagonista della nostra storia.

Partiamo dalle origini: Napoli era considerata la maggiore città della Magna Graecia e proprio per questo motivo conservò per lungo tempo il suo “greco dorico”. Una matrice greca che ancor’oggi è possibile ritrovare in alcuni termini di uso comune. Mano a mano, però, divenne piuttosto incisiva e profonda l’influenza della lingua latina: Napoli, infatti, divenne una colonia dell’Impero Romano sin dal 326 a.C.

Cosa accadde allora?  Iniziò a prendere forma il primo ibrido di dialetto napoletano su di una base latina, perfezionato, poi, nel corso del tempo con il susseguirsi delle varie dominazioni. Oggi, proprio grazie alle numerose influenze latine, possiamo definire il dialetto (o lingua) napoletano come un idioma romanzo che è correntemente parlato non solo nella città di Napoli ed in Campania, ma anche nelle regioni adiacenti. Non dobbiamo credere, però, che il napoletano sia nato dal latino classico (ancora oggi studiato, per il dispiacere di molti ragazzi..!) ma ebbe origine dal latino volgare, quello parlato quotidianamente da ogni classe sociale.

Possiamo e dobbiamo, però, essere anche maggiormente precisi a riguardo: la prima testimonianza ufficiale di utilizzo del napoletano risale al 1442. Da questa data in poi, infatti, il napoletano sostituì il latino nei documenti ufficiali e nelle assemblee di corte della città, tutto ciò grazie ad un decreto di Alfonso V d’Aragona.

La realtà letteraria, invece, ci porta ancora più addietro negli anni.DSC_0779

Si parla già di uno scritto del 960, un documento famosissimo di cui tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta: chi non ricorda, sin dalle scuole, Placito di Capua? A lui fu attribuito il primo documento in lingua italiana, ma, in realtà, si trattava proprio della lingua napoletana (all’epoca “volgare pugliese”). Un’altra testimonianza letteraria, invece, possiamo collocarla nel Trecento con Guido delle Colonne: a lui si deve la “traduzione” in napoletano della storia della città di Troia.

Come possiamo facilmente dedurre, dunque, il napoletano nacque prima di tutti gli altri idiomi della nostra penisola.

Altro aspetto dal quale non possiamo prescindere, ovviamente, sono i contatti con i popoli stranieri che hanno inevitabilmente influenzato il napoletano. A questo proposito, però, si tratta sempre e comunque di influenze prettamente lessicali ed uno degli apporti maggiori è derivato dalla dominazione spagnola.

Molti allora, ripercorrendo la florida ed elaborata storia del napoletano potrebbero chiedersi perché un idioma così importante, con origini così nobili, non sia riuscito ad imporsi come lingua nazionale.

I motivi, confermati dai più, avrebbero ragioni storico-politiche e nulla avrebbero a che fare con la lingua in sé. Col passare del tempo, infatti, il napoletano non fu più usato per gli atti pubblici della nazione e fu, per lo più, utilizzato per opere che furono sempre ingiustamente etichettate come inferiori e grottesche (Giambattista Basile, un esempio che vale per tutti), rispetto alle opere fiorentine che riuscirono ad imporsi con maggior vigore.

Per fortuna, nonostante le alterne vicende storico-politiche che si sono susseguite negli anni, la tradizione della lingua napoletana resta ben radicata in ognuno di noi, ciò fa del napoletano una “lingua” più viva che mai.

 

 

Parole napoletane di origine straniera

Dopo tutto questo discorrere, non poteva mancare qualche esempio…ne riportiamo solo tre, ma ovviamente potremmo continuare per giorni!

  • Pazzariello: siamo soliti indicare con questo termine una persona giocosa, gioviale. Il termine è, ovviamente, legato all’altro affine “pazziare” che indica il giocare, scherzare. Deriva dal greco παίζω che si può tradurre sia con “giocare” che con “impazzire”
  • Tenere (come verbo “avere”) : termine di origine spagnola, utilizzato al posto di avere quando non ha funzione ausiliare. “Tengo sueño”, “ho sonno”. A cui corrisponde, ad esempio, il nostro “tengo suonno”
  • Pertuso: il pertugio, un piccolo foro. Ogni cosa piccola e stretta viene così indicata nel nostro dialetto. Di facile intuizione, deriva dall’italiano “pertugio” che a sua volta deriva dal latino “pertusus” (participio passato di pertundere), che indica la stessa cosa.

 

 

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