Tirinella: la Francesca da Rimini partenopea
Benedetto Croce nel suo “Storie e leggende napoletane” riporta in traduzione italiana una lettera, originariamente in latino, dell’umanista siciliano Giovanni Aurispa, scritta nel 1425. Tema centrale della lettera è la storia di un amore sbocciato a Napoli tra due giovani: la nobile ragazza napoletana Tirinella ed il mercante fiorentino Alvise.
Il motivo della lettera
L’occasione in cui questa lettera fu scritta è abbastanza particolare. Ad Aurispa era infatti arrivata notizia di uno scandalo accaduto recentemente a Ferrara. Il vecchio nobile Niccolò d’Este aveva scoperto che sua moglie, Parasina Malatesta, si intratteneva dolcemente con un altro uomo. Il tradimento non era però il fatto più grave: l’amante era infatti un figlio di Niccolò stesso, concepito da un precedente letto.
Come se il tradimento non bastasse, si era aggiunta quindi anche l’accusa di un disdicevole incesto. Una storia da tragedia greca! E la conclusione purtroppo non poteva essere da meno: i due giovani amanti pagarono il prezzo più alto per i loro sentimenti, furono uccisi insieme, pubblicamente, nel palazzo di Ferrara.
Una vecchia storia partenopea
Questa storia aveva particolarmente turbato il nostro umanista, il quale scrisse così nella lettera: “Ora quello che io mi accingo a raccontare sembra avere alcuna similitudine con cotesto caso miserando: l’uno come l’altro furono gli amori tra persone di alta condizione, l’uno come l’altro ebbero esito lacrimevole. Non so per qual modo la memoria di questo fatto m’induce nell’animo una certa voluttà di dolore”.
Croce, commentando queste ultime parole, non può che riportare alla mente di noi lettori la dolcissima immagine di Dante che ascolta commosso i sospiri di Francesca nel girone dei lussuriosi. Ma torniamo alla nostra lettera. Aurispa ricordò un’altra storia, simile per argomento alla prima, diversa per ambientazione, reminiscenza forse del suo soggiorno napoletano. Dobbiamo infatti trasferirci nella Napoli del re Ladislao di Durazzo. Immaginiamo una città vestita di equilibrio e classici movimenti geometrici (difficile, mi rendo conto), immaginiamo gli antichi sedili, i maestosi palazzi delle grandi famiglie nobiliari, immaginiamo uomini vestiti con calzebraghe e giubbetti di velluto, donne in lunghi abiti dai colori brillanti ed eleganti copricapo.
L’amore di Tirinella e Alvise
Ecco, in una atmosfera del genere viveva una giovane nobile di appena ventuno anni.
Il suo nome era Terina ma, per il suo carattere dolce e delicato, le si addiceva maggiormente l’affettuoso diminutivo di Tirinella. Suo padre, Marino Capece, l’aveva promessa in sposa ad un certo Pietro, nobile anche lui, ma più grande di lei di più di trent’anni. Nel frattempo, la curiosità di conoscere il mondo ed una cospicua eredità da spendere, avevano spinto un giovane veneziano, Alvise Dandolo, a visitare Napoli.
Fu così che Alvise incontrò Tirinella e, come in ogni storia d’amore che si rispetti, si innamorò follemente di lei al primo sguardo. Il fatto che fosse sposata non fermò certo l’innamorato. Un amore alle prime scintille, si sa, arde più di qualsiasi altro. Il giovane fece di tutto perché la donna si accorgesse dei suoi sentimenti e lei, ovviamente, non poté far altro che ricambiare con un amore della stessa intensità smisurata. Non a caso, non molti anni prima e meglio di chiunque altro, un poeta aveva scritto Amor che a nullo amato amar perdona. Ma torniamo a noi.
La relazione adulterina dei due durò per ben tre anni ed il fuoco che li univa sembrava essere destinato a non spegnersi. Perché a fare che una relazione amorosa arda di passione – sottolinea Aurispa – è necessaria la difficoltà.
I tre figliastri
Un gelido giorno d’Inverno però, i tre figli del marito di Tirinella si presentarono senza preavviso alla casa paterna. Si accomodarono con la matrigna davanti al focolare e godendo del tepore domestico si dedicarono alla lettura. Scelsero di intrattenersi con le storie romanzesche di Tristano e Lancillotto (ironia della sorte, proprio quelle storie erano state Galeotto per il celebre amore di Paolo e Francesca).
Mentre tutti erano immersi nella lettura, entrò nella stanza la vecchia serva di Tirinella, una donna avida ed affamata di ricchezze; era stato facile infatti per i due amanti corromperla perché diventasse segreta messaggera del loro amore. Con un semplice sguardo informò la padroncina dell’arrivo di Alvise e lei le ordinò con un lieve cenno di farlo accomodare nelle sue stanze. Perché i tre figliastri non si accorgessero di nulla, li cinse con le braccia come per avvicinarli di più al libro che stavano leggendo insieme. Poco dopo, Tirinella lamentò un forte mal di testa e con questa scusa si ritirò. Sembrava essere andato tutto liscio.
Il triste epilogo
Invece, il più piccolo dei tre fratelli si era accorto di tutto. Aveva visto quell’uomo attraversare la stanza adiacente, veloce, poco più di un’ombra. Informati gli altri fratelli, accorsero tutti alla porta chiusa della matrigna. Dentro, Tirinella e Alvise giacevano in uno spensierato abbraccio. Le gridarono di aprire immediatamente. Lei rifiutò con decisione. Si servirono allora di una scure per abbattere la porta. Intanto i due amanti si erano rivestiti e si erano presto armati di spade. Erano pronti a combattere, a morire pur di non essere presi, pur di non essere separati. I fratelli buttarono giù la porta, pronti anche loro allo scontro. La giovane Tirinella non pensò ad altro che al suo amore. Spinse via Alvise e si gettò a combattere da sola contro i tre uomini. Fu la prima a morire. Di poco, la seguì Alvise. I loro corpi vennero abbandonati insieme in un lurido vicolo – aggiunge l’autore della lettera – degni certo di migliore sepolcro.
Una storia vera?
Benedetto Croce recupera certo una storia degna dei grandi amori tragici della letteratura. Oltre a Dante che riecheggia spessissimo nella narrazione, c’è molto anche delle novelle amorose di Boccaccio: quel leggero carattere rocambolesco, una certa punta di ironia, quel pizzico di astuzia che caratterizza Tirinella. Ma a rendere ancora più interessante questa storia è l’ipotesi che si tratti di una vicenda realmente accaduta, conosciuta da Aurispa in prima persona. Croce scrive di aver condotto studi approfonditi sull’argomento: il padre di Tirinella, Marino Capece, è realmente esistito e la sua attività a Napoli è ben documentata. Della figlia Terina, diminutivo di Caterina, sembrerebbe invece, almeno per ora, non essere rimasta alcuna testimonianza.
Fonte: Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, capitolo V
Claudia Grillo
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