Don Carlo Amirante è stato uno dei protagonisti della breccia di Porta Pia e successivamente un celebre parroco, punto di riferimento per la sua comunità di fedeli seguaci, a Napoli, nonchè particolarmente legato alle figure in divisa militare, verso le quali ha sempre mostrato grande apprensione.
La presa di Roma e l’ incontro con Pio IX
Carlo Amirante nacque nel 1852, negli ultimi anni del Regno delle Due Sicilie, a Soverato Marina, in Calabria. Dopo l’ acquisizione del ruolo di procuratore del padre Saverio, successivamente all’Unità, la famiglia si spostò a Napoli.
Fervente cattolico fin da giovane, dopo un’istruzione privata attraverso di sacerdoti, Carlo decise di iscriversi alla prestigiosa scuola militare Nunziatella. Terminò il percorso di formazione per la sua carriera militare all’ Accademia militare di Torino, da poco spodestata dal ruolo di Capitale, in vantaggio di Firenze. Terminò gli studi nel 1869, con il titolo di ingegnere ed il grado di tenente dell’ esercito del Regno d’Italia.
Quello stesso anno, perse entrambi i genitori. Una tragedia che lo colpì duramente anche a livello economico, oltre che morale. Il che lo portò a prendere un’importante decisione: si iscrisse al neonato corpo dei Bersaglieri, condotti dal generale Alfonso La Marmora, da cui fu messo a capo di un plotone nell’ operazione militare per la presa di Roma: il 20 settembre 1870, con la breccia di Porta Pia, l’ esercito del Regno d’Italia conquista la futura Capitale.
Il tenente Amirante rimase gravemente ferito alla gola durante l’attacco e la sua già grave situazione sembrava peggiorare. Durante il suo ricovero, attraversò una profonda crisi di fede circa il proprio coinvolgimento nell’assalto al Papa ed al suo esercito. Pervaso dai rimorsi, decise di fare un voto alla Madonna, promettendo a sè stesso che avrebbe offerto al Pontefice le proprie scuse, in caso della propria sopravvivenza.
La sua salute migliorò col passare del tempo e, intendendo la sua guarigione come la risposta alla sua richiesta d’aiuto, scrisse a Pio IX, chiedendogli udienza per chiedergli perdono, desideroso di superare la sua crisi personale. Il Papa lo ricevette tempestivamente, non lasciandosi scappare l’occasione di mostrare alla nuova Nazione un soldato italiano che si prostra dinanzi alla chiesa cattolica.
La carriera ecclesiastica di Carlo Amirante
I due parlarono a lungo. Carlo sottopose al Papa i suoi dubbi morali e fu rassicurato: “Nessuna scomunica, giacchè fosti comandato”. Al seguito della conversazione, avvenuta in segreto, il giovane tenente aveva ben chiaro ciò che avrebbe fatto della sua vita da quel momento: avrebbe lasciato la carriera militare, per dedicarsi a quella ecclesiastica.
Rifiutò la promozione a capitano, propostagli per le sue azioni sul campo e troncò i rapporti con la sua compagna, che avrebbe dovuto sposare e che, tempo dopo, sarebbe diventata suora.
Il suo ingresso in seminario fu mediato dal noto cardinale napoletano Sisto Riario Sforza, che gli fu presentato da un suo zio colonnello.
Il suo impegno fu tale che divenne diacono in appena due anni. Inoltre, proseguì gli studi, conseguendo la laurea in lettere e filosofia. Nel 1877 divenne cappellano a Napoli, nel collegio dei Cinesi, inoltre ottenne una cattedra come insegnante di lettere presso la scuola femminile Pimentel Fonseca. Tra le sue allieve, c’era Matilde Serao.
Appassionato di musica, divenne successivamente professore nel collegio delle Religiose di Santa Maria. Prese parte anche all’assistenza ai feriti nella guerra d’Eritrea, non dimenticando la propria esperienza militare e si recava anche dai carcerati a portar loro conforto. Inoltre, quando ci fu un devastante terremoto ad Ischia, nel 1883, accorse insieme ad un gruppo di parrocchiani volontari per prestare assistenza.
Ricevette anche l’insolito incarico di esorcista, ma con l’avanzare dell’età, si vide costretto ad abbandonare quella stressante professione.
Nell’apice della sua carriera, divenne parroco nella chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta.
Amirante divenne parroco delle Cliniche universitarie, incarico che gli consentì di conoscere il professor Antonio Cardarelli, con cui intrattenne buoni rapporti. Frequentemente si recava nell’Ospedale degli Incurabili per dare supporto spirituale agli ammalati, venendo più volte ripreso, specialmente da Antonino d’Antona, a cui Carlo rispondeva “Professore, faccio quello che fa lei: il mio dovere.”
Grazie a Cardarelli, l’ambiente ospedaliero divenne meno ostile alle figure religiose, con l’allestimento di una cappella e l’ingresso di suore che assistevano i malati. Infaticabile, si mise al servizio anche di una vicina caserma dei pompieri, insistendo, assieme a loro, con le autorità municipali perchè fosse garantita una paga migliore e la possibilità di matrimonio per i pompieri in servizio.
Gli ultimi anni e la morte
Analogamente al rifiuto di un avanzamento di carriera militare, Carlo Amirante rifiutò in più occasioni anche titoli ecclesiastici che gli dessero maggior lustro. Gli fu, tuttavia, imposto dai suoi superiori di accettare il titolo di Protonotario Apostolico.
Morì il 20 gennaio 1934, nel suo umile appartamento di vico Sant’Agostino degli Scalzi, circondato da sacerdoti e da seguaci affezionati.
Il suo corpo fu portato al cimitero di Poggioreale, dove sarebbe rimasto esposto per tre giorni, dato l’incessante arrivo di fedeli a lui legati che volevano porgergli l’ultimo saluto.
Fu tumulato nella chiesa di San Pietro a Majella, a Napoli. E’ tutt’oggi presente una lapide a lui dedicata. Gli sarà attribuito il titolo di “Servo di Dio”, importante riconoscimento ecclesiastico. Il 19 giugno 1980 fu avviato il processo di beatificazione, mai portato a termine.
A sua memoria, vi sono delle vie a lui dedicate in diverse città, tra cui Soverato, la sua città natale.
-Leonardo Quagliuolo
Ringrazio Alberto Fava per avermi indicato questa interessante storia e per avermi fornito materiale utile.
Riferimento: “Il santo che non sarà” di Alberto Fava
Per approfondire:
Leave a Reply