Padre Pio da Pietrelcina, l’uomo miracoloso per eccellenza, passò anche per Napoli. E non lo fece in vesti religiose, bensì da soldato, con un fucile in mano e con la divisa. Un’immagine davvero insolita per il santo!
Era infatti l’anno 1915 e l’Italia, dopo tante titubanze e lotte interne, decise di entrare in guerra tradendo segretamente gli ex alleati tedeschi e austriaci. Così, mentre le Alpi cominciarono a trasformarsi in un cimitero fatto di trincee, fango e battaglie sanguinose, in tutta la nazione arrivarono cartoline di chiamata obbligatoria per il servizio di leva, portando un’intera generazione al macello.
La famosa “cartolina rosa” arrivò anche nella piccola Pietrelcina e fu indirizzata al frate ventottenne Francesco Forgione, che all’epoca ancora non era conosciuto per i suoi miracoli, ma già aveva seri problemi di salute ed era già noto per le sue visioni divine.
Queste visioni, però, poco importavano allo Stato Italiano: qualsiasi forza era necessaria per supportare la causa nazionale nella Grande Guerra.
Padre Pio a Napoli
Il giovane frate fu inizialmente assegnato a Benevento e sottoposto alle visite di rito, dove gli fu diagnosticata la tisi.
ma presto fu spostato nell’ospedale militare della Santissima Trinità di Napoli, che oggi non esiste più, ma si trovava dalle parti dell’Infrascata, l’attuale Via Salvator Rosa. Anche qui la permanenza fu breve: Forgione fu visitato da Pietro Castellino, medico di grandissima fama, che lo rimandò in licenza per pochi mesi a Pietrelcina.
Lo Stato, però, bussò di nuovo alla porta: la licenza era finita nel 1917 e le truppe italiane erano allo sbando su un fronte lontano centinaia di chilometri da Napoli: i militari, con gli stivali di cartone e armi antichissime, affrontavano le temibili truppe austriache con il morale a pezzi e i nemici sempre più incombenti. Caporetto era alle porte.
Proprio in questi anni un giovane giapponese, Harukichi Shimoi, bazzicava sul fronte raccontando sui giornali di Napoli lo stato della guerra.
Un servizio militare all’insegna del tormento
Il ritorno in città di Forgione non fu dei migliori: i dolori cronici lo torturavano, respirava con immensa difficoltà e camminava a stento. Presentava ferite sul corpo e il fisico gracile lo avrebbe reso carne da cannone in qualsiasi campo di battaglia. Ma alla patria servivano uomini, anche a mezzo servizio. E Il colonnello responsabile dell’ospedale militare valutò il soldato Forgione come “abile a lavori d’ufficio“. E lui obbedì, anche se con numerose licenze a causa delle improvvise febbri e crisi respiratorie.
Un episodio famoso della vita di Padre Pio durante la guerra, ad esempio, fu quello della febbre a 52 gradi, che gli salì a San Giovanni Rotondo. Stando ai racconti agiografici, si dice che, nonostante i termometri esplodessero dopo essere stati poggiati sul suo corpo, lui era perfettamente freddo.
Il congedo
La permanenza a Napoli di Padre Pio fu un tormento anche nei giorni senza dolori fisici: in molte lettere raccontava infatti alla famiglia e ai frati suoi superiori che non poteva celebrare la messa e, addirittura, scoppiava in lacrime quando aveva la possibilità di andare a pregare nella chiesa della Trinità alla Cesarea.
Era ormai giunto il 1918 e, assieme alla resistenza fisica di Padre Pio, anche la guerra stava volgendo al termine grazie al napoletano Armando Diaz. Il soldato in saio, ormai trentenne, era stremato dai dolori tanto da non riuscire nemmeno più a camminare.
A visitarlo per l’ultima volta ci pensò il massimo luminare della medicina napoletana: Antonio Cardarelli. Il medico lo definì inabile al servizio militare e con una firma gli fece concludere esperienza fra le fila dell’Esercito.
Il frate del Gargano non tornerà più a Napoli, almeno in vita. Ma non si può dire che non sia onnipresente in città, fra un santino nel portafogli e una distesa di icone votive disseminate fra le mille chiese di Napoli.
-Federico Quagliuolo
Grazie a Carlo Restaino per averci suggerito questo interessante tema. Sostieni anche tu Storie di Napoli!