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Il linguaggio militare nella camorra è un elemento molto importante per capire la criminalità organizzata napoletana. La Bella Società, infatti, in passato ha “rubato” molte cose dal mondo militare. Partendo appunto dalle parole.

Se ancora oggi il termine “paranza” è comunissimo, altre terminologie come “compagnone” e “tammurro” sono rimaste in vita fino a un centinaio di anni fa.

Partendo da Monnier, passando per Marmo, Dalbono e Montuori, moltissimi studiosi contemporanei e passati hanno più volte documentato gli strettissimi rapporti fra criminalità cittadina e militari del Regno delle Due Sicilie (e poi del Regno d’Italia) sin dai tempi del vicereame. Anche Lombroso, nei suoi discussi studi, accostò camorra ed ordinamento militare.

Soldati spagnoli
Linguaggio militare e criminalità: soldati spagnoli ai tempi del viceregno

Il verbo “camorrare” inteso come fare il prepotente

Francesco Montuori, nel suo libro “Lessico e Camorra” (ed. Fridericiana, Napoli, 2008), sottolinea come nel gergo militare sia esistita la parola “Camorrare” sin dal 1580, anno del “Documento di Stigliano”, in cui il Viceré Juan de Zuniga y Requesens risponde con un mandato (che sarebbe un atto normativo del Viceré con valore di legge) alle lamentele inviate dai cittadini di Stigliano per denunciare le angherie compiute dalla soldataglia spagnola che pretendeva vitto e alloggio gratuito e sottoponeva i cittadini a minacce, prepotenze e violenze.

Nella risposta del Viceré, che accoglie le lamentele ed ordina in modo perentorio ai soldati di non importunare e non alloggiare a Stigliano, compare la frase “et non andare alloggiando et camorranno per la città, terre et casali”.
In realtà il diritto dell’esercito di ottenere alloggio nelle case dei cittadini fu una usanza spagnola introdotta a Napoli proprio negli anni del vicereame e l’utilizzo del termine “camorrare” (prima e unica volta in cui è comparso nei documenti) è dovuto probabilmente ad indicare il “molestare, comportarsi con prepotenza, estorcere l’alloggio con violenza”. Questo accostamento può individuare con efficacia quanto siano vicini l’ambiente militare e quello camorrista già in tempi in cui la Bella Società nemmeno esisteva.

In via più generale, il linguaggio militare nella camorra non sarà una semplice formalità, ma la punta dell’iceberg di uno stile di vita appreso proprio grazie ai continui contatti fra esercito e criminalità.

viceré juan de zuniga y requenses
Il viceré di Napoli Juan de Zuniga y Requenses

Compagnone

Un altro esempio di linguaggio militare nella camorra è l’uso della parola “compagnone”, largamente utilizzata fra i soldati per indicare i propri commilitoni (se ne trova traccia già nel XIV secolo, come sottolinea Bartolommeo Capasso) ed utilizzata poi, nel XIX e XX Secolo dai camorristi per indicare i propri consociati: nelle evoluzioni della Storia il termine passò dal gergo militare alle bocche delle bande dei briganti seicentesche che, legati da una comunione di intenti criminali, si mischiavano nelle taverne a prostitute e soldati spagnoli.
Secondo Capasso, l’origine del “Camorrista” inteso come appellativo del criminale napoletano deriverebbe proprio dall’identificazione della soldataglia delinquente e dei briganti come abituali frequentatori delle “Camorre”, le sale da gioco della Morra.
Ed ancora il Contaiuolo, che è il contabile e tesoriere della Onorata Società, prende direttamente origine dal “contador” spagnolo, che era colui che nell’esercito spagnolo era amministratore delle finanze della squadra e dava la paga ai soldati.

Frittura di paranza
Che c’entra la frittura di paranza in questo articolo? Leggi più in basso!

La paranza: dall’esercito al linguaggio comune

La parola “paranza” è ancora oggi utilizzata nel linguaggio comune e va ad indicare un piccolo gruppo di persone o di cose. Non si sa esattamente se la parola sia nata dal greco “peràn”, che significa traghettare (legato alla barca da pesca) o al latino paro, che indica sempre un’imbarcazione da pesca. Da qui si potrebbe giustificare il nome delle navi da pesca e l’espressione “frittura di paranza“, il fritto misto di pesciolini servito nel cuoppo.

La parola potrebbe venire anche dal latino “paris”, che significa coppia. “Paranza” identificava le barche da pesca per i pesci piccoli, dato che navigavano spesso in coppia, ma poteva essere anche una parola usata genericamente per indicare più cose o persone assieme.

Ma torniamo alla Bella Società. Ci basta consultare la Treccani per trovare questa spiegazione: Paranza. “Nel gergo della camorra napoletana, gruppo o sezione di camorristi”.

Nel linguaggio militare, infatti, la parola paranza assume il significato di “gruppo di soldati“. Montuori indica due documenti, uno del 1609 conservato nell’Archivio di Stato di Napoli (Segreteria dei Viceré, Viglietti originali, busta 1), che cita un tale Andrea Loffredo, capitano di cavalleria “della nona milicia de la paranza della città di Cosenza e casali”.

Nel 1696 si rileva un nuovo utilizzo della parola, ordinando che “i soldati e le paranze di guardia debbano similmente assistere ne’ loro posti, così di giorno, come di notte, senza permettere che si introducano robe in contrabbando”.
Il termine “paranza” inteso come singolo gruppo di camorristi, quindi, ha conservato intatto il suo significato militare per circa cinque secoli.

Tamburello esercito linguaggio militare
Un tamburello dell’esercito

Tammurro

La prima volta in cui troviamo la parola “tammurro” è nel libro “I Vermi” di Mastriani, che parla delle vicende della città più umile, abbietta e povera. Questa parola si riferisce al novizio della Bella Società, il ragazzo che, senza alcun “diritto di camorra”, deve cominciare a servire i suoi superiori per dimostrarsi degno di partecipare alle attività criminali. Lo citano anche Ferdinando Russo e Marc Monnier nelle rispettive opere sulla camorra.

In questo caso il “tammurro” nel linguaggio militare si riferisce al tamburino, la recluta più giovane della compagnia che suona il tamburo quando i soldati sono in marcia.

In questo caso è ancora più evidente quel legame storico che lega la struttura della Camorra ai gruppi militari dei secoli passati che occuparono Napoli.
Anche il tatuaggio, che è figlio della profondissima cultura dei marinai, è stato distorto in molte forme dalla criminalità: molte tradizioni sono state tramandate attraverso stretti contatti fra forze armate e criminalità, storie presenti, nascoste ed ancora vive sotto le parole di uso ancora oggi comune.

-Federico Quagliuolo

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