Immaginate un viaggio iniziato più di 4000 anni fa; dal Mediterraneo orientale fino a Napoli.

Proprio da lì, grazie ai continui scambi commerciali con il Meridione d’Italia, arrivò la torzella, o meglio, il cavolo greco, giunto fino alle pendici del Vesuvio e nell’area acerrana e nolana, coltivato fino a Sibari. Immaginate l’importanza e la produzione di questa vellutata pietanza, tanto amata da un popolo definito “mangiafoglia”.
La torzella riccia appartiene più precisamente alla famiglia delle Brassicaceae, nome coniato dal botanico italiano Teodor Caruel facendolo derivare dal celtico “bresic” che significa “cavolo”.

torzella riccia napoletana
Una bella foglia di torzella riccia napoletana

Conosciamo la torzella riccia napoletana

È una pianta bellissima già solo da vedere, che raggiunge un’altezza media di circa un metro, dal fusto robusto e con foglie verde scuro, carnose e ricce.
Si pianta a luglio e si raccoglie in inverno, fino a marzo.
La “torza” – diventata “torzella riccia” per le particolari foglie e “napoletana” per come si è acclimatata qui – è stata per decenni il cibo preferito dai contadini per affrontare l’arrivo della stagione invernale, in quanto ricca di vitamina C, fibre, potassio e acido folico.
La torzella era uno degli ingredienti immancabili della minestra maritata, ma è buonissima anche se sfritta, come i friarielli e nel caso di foglie troppo coriacee, magari meglio darle una veloce sbollentata.
La sua lunga e saporita storia si è purtroppo interrotta nel secondo dopoguerra, quando è scomparsa quasi definitivamente dagli orti campani, soppiantata dalla diffusione dei friarielli, di più facile e veloce approccio.
Oggi ci sono pochi contadini custodi che continuano a coltivarla, specialmente nelle areee del nolano, dell’acerrano e del vesuviano e da novembre è anche diventato un Presidio Slow Food. Si tratta di un’associazione internazionale che, facendo nascere un “presidio”, tutela un prodotto tradizionale, una tecnica colturale o un ecosistema, a rischio di estinzione.
Dobbiamo dire grazie alla caparbietà di quei contadini che non si sono arresi se oggi, finalmente, se ne ritorna a parlare e…la possiamo di nuovo gustare.

Yuri Buono
Riproduzione Riservata

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