Scopriamo come una semplice scarola imbottita può raccontare una filosofia di un intero territorio. D’altronde, la grandezza di Napoli non è solo racchiusa in una città di tremila anni di storia, o nei suoi monumenti, nella sua arte, ma anche e soprattutto nella sua inventiva per come ha saputo trasformare la povertà in ricchezza; la semplicità in sfarzo e le ristrettezze in opportunità.
Troppo facile raccontare la prosperità con piatti ricchi ed elaborati già di partenza; più difficile farlo da una semplice scarola. Oppure nei cardilli e farinelli, che diventano un’ottima alternativa proprio alle scarole.
I dotti la chiamerebbero indivia (Cichorium endivia), ma a Napoli diventerebbe troppo facilmente “invidia” e “quella“, a Napoli, non la preferiamo, perché siamo uomini d’amore.
Pertanto a questa grossa famiglia dal nome tecnico di indivia appartiene anche la nostra scarola, che già era consumata e apprezzata dagli egizi, prima e dai romani, poi, al punto da essere utilizzata come medicinale per curare le malattie epatiche.
Alle origini della scarola napoletana
Intorno al ‘600 iniziò ad essere coltivata nell’area del Mediterraneo, giungendo, così, fino a Napoli, dove, a seconda delle foglie, fu suddivisa in tre categorie dai nomi più buffi: la cicoregna, la paparegna (che sarebbe la scarola “schiana”) e la ricciuta (cioè la riccia).
Quando le scarole ricce e schiane stanno per finire ecco arrivare la cicoregna, il che accade tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. Il suo pregio sta nel fatto che è molto più tenera e resistente al freddo e deve il suo nome alla somiglianza delle foglie con quelle della cicoria; mentre la schiana ha foglie aperte e senza grinze, quelle della ricciuta sono, invece, facilmente intuibili.
La scarola imbottita
Ora, al di là del periodo di raccolta, cosa che consente di “imbottire” le nostre scarole in più periodi dell’anno, certamente anche la tipologia consente una migliore “mbuttunatura“, proprio perché la presenza di foglie più larghe e fitte ci permette di non disperderne il semplice, ma prezioso contenuto.
Ed ecco come, una semplice scarola, ricca di Vitamina A, sali minerali e acido folico, ma pur sempre “leggerina“, può essere trasformata in un piatto unico.
Come? Semplice, seguendo la ricetta della Francesconi, ci basterà aprire le sue foglie, dopo averle lavate accuratamente, imbottirla con aglio, alici sott’olio, prezzemolo, capperi, olive itrane, pangrattato e legarla con uno spago da cucina, perché si sa che a Napoli gli abbracci sono belli stretti!
Esiste anche un’altra versione che prevede l’aggiunta del pane raffermo bagnato, pecorino o parmigiano grattugiati e l’utilizzo di un uovo per amalgamare meglio la farcitura.
E se proprio così non vi dovesse bastare, beh, c’è sempre la versione “nobile” alla cui “imbottitura” aggiungeremo anche uvetta passa, pinoli e noci.
E pensate che questa ricetta nacque come piatto di riciclo, al fine di riutilizzare gli avanzi del pane e degli ingredienti di altre ricette.
Ditemi voi: conoscete un altro modo pe “mbuttuna’ ‘a felicità“?
Non perderti anche la nostra storia sulla pizza di scarole!
Yuri Buono
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