Da produttori di siluri per sottomarini a industria motociclistica. La IMN di Baia, Industria Meccanica Napoletana, fu la madre di Baio, Rocket 200 e Paperino: tre moto dall’aspetto particolarissimo che vennero assemblata in riva al mare, all’ombra del Castello Aragonese di Baia.
Anche se il mondo dei motori era già nel completo monopolio del centro-nord Italia, quella della Campania fu una piccola avventura durata 10 anni che, per scarso spirito imprenditoriale, non spiccò il volo. Ma ci ha lasciato la memoria di moto deliziose.
Dalle armi alle moto
L’Italia del dopoguerra era un cumulo di macerie. E il Sud, con la Campania e la Sicilia in prima fila, pagò il prezzo più alto: gli alleati non risparmiarono bombardamenti per radere al suolo qualsiasi infrastruttura strategica civile o militare. Allo stesso modo, i tedeschi in ritirata completarono il lavoro minando e bombardando qualsiasi cosa incontrassero lungo il loro percorso.
Il risultato fu la completa distruzione del tessuto industriale del Sud Italia, che già dopo l’Unità aveva avuto il primo brutto colpo. Fu così che nel 1948 l’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, scese in campo per ripristinare il salvabile e incentivare la conversione delle industrie belliche in aziende civili: il Silurificio di Baia, completamente raso al suolo dagli americani e dai tedeschi, fu quindi riconvertito in una azienda di produzione motocicli, la nostra IMN.
Paperino, Baio e Mosquito
Inizialmente la IMN costruiva il Mosquito della Garelli su licenza: era poco più di una bicicletta con un motore da 38cc.
Il successo commerciale della IMN arrivò con il Paperino, un piccolo scooter prodotto nel 1951. Fu parecchio fortunato nell’aver trovato il nome libero, se pensiamo che anche la Vespa inizialmente doveva chiamarsi così. Inizialmente La IMN Paperino era un’evoluzione del piccolo ciclomotore della Garelli, poi cominciò ad essere prodotto con un telaio
Si cercò però di fare il salto di qualità: l’ingegnere Gian Luigi Capellino infatti si dedicò alla progettazione del primo scooter tutto napoletano. È stato uno dei primi progettisti della Ducati, originario di Genova, e diventò noto per le sue trovate innovative: grazie alla sua abilità fu ingaggiato dalla IMN per progettare nel 1954 il Baio, battezzato proprio per la sua città di costruzione.
Erano anni di sperimentazioni, innovazioni e avanguardie scientifiche. Proprio mentre al Vomero due giovani studenti stavano costruendo aerei in un garage, a Baia invece si sperimentavano soluzioni tecniche all’avanguardia.
La motoleggera Baio fu il tentativo di IMN di inserirsi nel mercato del motociclismo, per sfuggire anche alla concorrenza di Vespa e Lambretta. Fu discretamente apprezzato, con poco più di un migliaio di unità prodotte. Nel 1954 si decise addirittura di fare una maratona pubblicitaria di 2500 chilometri: da Baia a Trieste e ritorno, tutto a 35 chilometri orari in sella a 3 Baio e 15 Paperino.
La Rocket 200, un gioiellino arrivato tardi
La visione d’impresa, purtroppo, non è spesso stata una caratteristica della classe dirigente locale. La storia della Rocket 200 fu infatti probabilmente l’esempio perfetto di come spesso a Napoli si siano costruiti prodigi giunti nel momento storico sbagliato.
Un po’ come le De Luca Daimler, le prime macchine elettriche costruite nella periferia est di Napoli, anche la Rocket 200 della IMN fu un gioiello di tecnologia arrivato nel momento sbagliato.
La moto era (ed è) esteticamente bellissima, dalle linee tondeggianti tipiche degli anni ’50 e con soluzioni modernissime: il telaio a traliccio in tubi, quello che ancora oggi è alla base delle moto moderne, era una soluzione visionaria per l’epoca. L’altra particolarità stranissima della moto è che l’intero blocco della trasmissione era unico.
Il motore, infatti, era direttamente collegato alla ruota, senza l’ausilio di catene o cinghie: la forcella era stata progettata in modo tale da far oscillare l’intero blocco motore assieme alla motocicletta: si tratta di una soluzione più unica che rara che rende questa motocicletta un pezzo pregiato non solo per la sua rarità, ma anche per le trovate tecnologiche che la caratterizzano (alcune furono riprese dalla Ducati dopo il fallimento della IMN). Il motore, un 200 cc 4 tempi a cilindri orizzontali contrapposti, non era nulla di incredibile, ma rimaneva dignitosissimo per l’epoca: sviluppava una potenza massima di 11 cavalli a 6000 giri.
Il problema? Era costosa e non rispondeva a nessuna esigenza del mercato. Fu presentata nel 1956, quando l’Italia era ormai a caccia delle immancabili Fiat 500, l’utilitaria che diventò il simbolo del boom economico. Per gli spostamenti cittadini, invece, ci pensava la ben più famosa ed economica Vespa, partita da Pontedera e pronta a conquistare tutta l’Italia. La concorrenza delle imprese del nord nel settore motociclistico, invece, fu spietata: l’appeal dei marchi Gilera, Guzzi e Ducati, d’altronde, era ben più forte di quello della IMN. E nemmeno nel mercato del lusso si riuscì a creare una fetta di interessati.
Dalle moto ai radar
Insomma, non servì molto tempo per dichiarare bancarotta: la dirigenza di Finmeccanica guardava con maggior favore alle industrie pesanti come l’ILVA, le vendite delle moto non decollavano, gli investimenti non portarono i frutti sperati e nel 1958 la IMN chiuse per l’ultima volta i suoi battenti, lasciando in eredità una piccola storia di motociclismo sulle rive del mare di Baia.
Ma la storia degli stabilimenti non si fermerà qui: verrà infatti aperta la Microlambda, poi Selenia, che fu la prima industria di produzione radar in Italia.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
La I.M.N., un raro, forse unico, caso di un marchio motociclistico partenopeo – ItaliaOnRoad – Rivista Italia Motori ItaliaOnRoad – Rivista Italia Motori
MOTO D’EPOCA: IMN Rocket 200 | Moto d’epoca facile (motodepocafacile.it)
Museo Piaggio | Museo della Piaggio
Gian Luigi Capellino | Ducati Heritage | I Personaggi Ducati
Libro memoriale dei Maestri del Lavoro, convegno 1992, articolo di Vincenzo del Forno
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