Lo scrivano pubblico faceva una vita davvero orribile. Ed era comunque migliore dei tantissimi miserabili che doveva assistere.
Fino agli anni ’50 del secolo passato era infatti possibile trovare per strada una piccola bancarella di legno marcio e scricchiolante, con alle spalle un vecchietto con penna e carta. Spesso annunciava a voce alta di saper tradurre anche il Francese e l’Inglese. Ed anche nei film di Totò e nelle opere di De Filippo compare spesso la sua figura.
Lo scrivano pubblico, storia di miserabili e di fortunati
Lo scrivano pubblico faceva parte di quella cerchia di persone che avevano imparato a malapena a leggere e scrivere, di solito erano ex servitori di palazzi nobiliari che, “pensionati” per anzianità, finivano in mezzo alla strada e dovevano trovare un modo per tirare avanti, non esistendo pensioni ed altre forme di previdenza sociale.
Erano infatti la versione povera degli scrivani presenti presso le magistrature e i palazzi nobiliari, che invece erano dei funzionari stipendiati dallo Stato o dalle famiglie e, fino a quando non commettevano errori, erano trattati da impiegati e pagati in modo dignitoso.
La figura dello scrivano nel tribunale è ancora oggi presente ed ha assunto . Nel codice di procedura civile del 1865, invece, era una professione specializzata, alla quale si accedeva con un concorso pubblico e un esame molto rigido. Ed anche gli stipendi erano decisi dallo Stato.
Nel XVIII secolo c’è anche un trattato medico sulla condizione degli scrivani scritto da Bernardino Ramazzini che, dopo aver analizzato il loro lavoro, ne spiega anche le possibili complicazioni mediche.
D’altronde, stiamo parlando di persone che passano ore ed ore sedute dietro la scrivania, per decine di anni della propria vita, piegate prima su fogli e poi su macchine da scrivere. Il medico di Carpi notò che in età adulta queste persone soffrivano di problemi alla schiena dovuti alla postura e di infiammazioni continue ai tendini dovuti alla scrittura.
Sembra strano leggere queste righe seduti dietro un computer.
Lo scrivano pubblico per ogni occasione
Erano famosi alcuni: quello sotto i porticati del San Carlo prendeva tutte le lamentele d’amore; quelli a Piazza del Municipio, ovviamente, erano ben appostati per poter intercettare qualsiasi reclamo, denuncia o istanza al Comune da redigere da parte dei cittadini che non avevano modo di dialogare con le autorità, in un’epoca – il XIX secolo- in cui il rapporto fra il cittadino e le amministrazioni andava democratizzandosi con le carte precompilate.
Un altro scrivano pubblico invece metteva la sua sgangherata scrivania, tutta vecchia, marcia e decadente dalle parti dei Quartieri Spagnoli, ma spesso sostava anche in prossimità della Galleria Umberto: era specializzato in lettere d’amore.
Ascoltava e scriveva, per pochi spiccioli, lamentele, racconti, desideri e pene che venivano scritti in modo confuso su un fogliaccio sgualcito e con una grafia rozza, ma perfetta per il cliente (che comunque se ne andava col dubbio: e se scrivano pubblico non avesse interpretato correttamente le parole? Spesso davvero accadeva così!).
Il suo ruolo era anche quello di uno psicologo: davanti a donne dal cuore spezzato e uomini innamorati che a stento si esprimevano in Italiano, doveva mettere su carta i loro pensieri confusi e spezzati, in modo da scrivere lettere da inviare alla controparte e da far leggere a un altro scrivano.
I più bravi riuscivano a tradurre sommariamente parole in inglese, spagnolo o francese, in modo tale da scrivere lettere da inviare ai parenti emigrati nelle terre lontane. Solitamente posizionavano i loro “bancarielli” in zona Molo dell’Immacolata.
La criminalità organizzata
Con i pochi centesimi pagati per scrivere lettere, lo scrivano doveva non solo comprare nuova carta e inchiostro, ma anche mantenere la famiglia, che spesso viveva sulla soglia della fame, scampata solo dai magri guadagni che permettevano una pagnotta al giorno.
Proprio per questa ragione alcuni scrivani pubblici venivano avvicinati dalla criminalità organizzata, che aveva bisogno di persone capaci di leggere e scrivere per gestire i propri affari.
Questi, allettati da un guadagno dignitoso, diventavano i “contaiuoli“.
Lo “stipendio” dato dall’Onorata Società permetteva un pasto caldo e i vestiti nuovi alle famiglie, ma spesso condannava le vite dei poveri scrivani ad una morte violenta.
-Federico Quagliuolo
Francesco De Bourcard, Usi e costumi di Napoli e contorni, Polaris, La Spezia, 1993
Renato Benedetto, Napoli di Ieri, Grafica Tirrena, Napoli, 1972
§ 71.2.1 – R.D. 14 dicembre 1865, n. 2641. che approva il regolamento generale giudiziario per l’esecuzione del Codice di procedura civile, di quello di procedura penale, e della Legge […] (edizionieuropee.it)
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