Il castello di Maddaloni costituisce, dal punto di vista paesaggistico, un elemento di forte impatto monumentale. Si staglia sulla valle di Maddaloni, nella parte settentrionale della odierna Campania, anticamente la florida provincia di Terra di Lavoro resa teatro, nel corso dei secoli, di numerosissimi conflitti.
Il castello di Maddaloni fu silente testimone, nonché spesso attore principale, di numerose battaglie che ebbero luogo nella valle di Maddaloni forse sin dai tempi antichi. Oggi le sue vestigia ancora adornano la valle, anche se in stato di avanzato abbandono.
Il castello di Maddaloni dall’antichità al basso medioevo
Pare che il castello di Maddaloni abbia visto i suoi natali nell’antichità, come molti altri castelli meridionali (ad esempio quello di Ottaviano). Il primo ad ipotizzarlo fu lo storico e politico Giacinto de’ Sivio: i primordi del castello dovettero essere legati ai destini dell’insediamenti di Galazia (Calatia), teatro di vari scontri durante le guerre Puniche e, a detta di Tacito, dotato di un castrum. In seguito agli alterni destini degli insediamenti antistanti ad esso il castello subì, probabilmente, un periodo di abbandono e di successivo riutilizzo durante la dominazione longobarda.
Probabilmente distrutta dalle incursioni saracene la struttura fu poi riedificata successivamente. La prima testimonianza documentaria che abbiamo della struttura risulta essere un atto notarile di epoca normanna: il notaio Zibullus de Zebullis, nel 1170, avrebbe annotato in un suo istrumento la presenza del “Castrum Kalato Maddala“, il castello di Maddaloni, chiamato per la prima volta in questo modo.
Il forte fu successivamente teatro di numerosi scontri e contese nel periodo di crisi dinastica angioina che vide scontrarsi il ramo napoletano e quello Ungherese. In esso risiedette persino Luigi d’Angiò, pretendente al trono del regno, durante la sua discesa verso la capitale. Il castello venne successivamente presieduto da una guarnigione francese, mentre tutta l’alta Campania era funestata dalle incursioni di Raimondo del Balzo, alleato del sopracitato pretendente al trono.
In seguito al proseguire del conflitto tra angioini e durazzeschi il castello divenne proprietà di re Ladislao di Durazzo, che la donò al suo partigiano Carlo Artus. Da quel momento il castello di Maddaloni rimase proprietà degli Artus per lungo tempo. Il casato ne adeguò le strutture difensive potenziando la cinta muraria e aggiungendo un torrione cilindrico, ancora oggi visibile, detto per tal motivo torre Artus. Il de’ Sivio, che ricondusse per primo la fondazione della torre da parte degli Artus, ipotizzò inoltre che una torre simile, seppur di dimensioni minori, fosse ivi locata sin dal periodo longobardo.
Spentasi la linea di successione degli Artus il feudo di Maddaloni tornò al demanio regio, per poi esser ceduto da re Ladislao ai fratelli Ottino e Riccardo Caracciolo, anch’essi condottieri al suo servizio. In seguito la struttura fu riscattata, nella prima metà del 400′, da Pietro da Mondrago. Il feudo di Maddaloni fu successivamente attanagliato da guerre cruente: il Mondrago, partecipando alla prima congiura dei baroni, si inimicò re Ferrante, il quale lo scacciò dalle sue terre e incendiò il castello, cedendo in seguito il feudo ai Carafa.
Il castello di Maddaloni in età moderna e contemporanea
La vita del castello divenne, nel corso dei secoli, sempre più silente. Fu utilizzato dai Carafa variamente, per poi perdere progressivamente importanza ne corso del 6-700, avendo la famiglia costruito una imponente dimora signorile più in linea con le consuetudini dell’epoca. La struttura iniziò ad essere utilizzata principalmente come casa di ritrovo o durante le battute di caccia. L’ultima battaglia che essa vide fu quella tra l’Esercito Meridionale e quello borbonico, ma come mera spettatrice. Il decadimento della struttura divenne ancora più marcato nel 900′, assumendo poi lo stato di profondo abbandono nel quale versa ancora oggi.
Bibliografia
Napoli nobilissima, Volumi 13-15
Giacinto de’ Sivio, Storia di Galazia campana e di Maddaloni, 1865
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