Prima del Fiorino e prima del Tallero fu il Gigliato napoletano la valuta prediletta dai mercanti dell’Europa medievale nei loro scambi internazionali. La sua popolarità fu merito tanto delle politiche economiche e monetarie regie quanto della peculiare posizione geografica del meridione.

Il mediterraneo, luogo di incontro tra popoli

Per comprendere bene il successo che il Gigliato ebbe come valuta internazionale nel corso di tutto il 300 non si può prescindere dalla categoria di “Méditerranée” così come teorizzata da Fernand Braudel. Bisogna quindi legarsi alla visione di un mediterraneo in cui lo studio di un singolo popolo, evento o fenomeno non basta a sé stesso ma deve essere necessariamente incluso in una sfera più ampia di dialoghi culturali e scambi commerciali di carattere internazionale ed intercontinentale tramite un approccio analitico dalla visione totale. Il meridione d’Italia, in virtù della sua posizione geografica centrale nel mediterraneo, si caratterizza come uno degli esempi più lampanti di tali processi storici.

Tavola dell’ “Atlante Catalano” raffigurante il mediterraneo, 1375 ca.

Il ruolo del Gigliato nelle politiche economiche angioine

Il gigliato si configura, assieme al saluto, come moneta cardine delle riforme economiche angioine. Gli Angiò, essendo legati alla Francia e quindi a scambi commerciali di tipo continentale, attuarono notevoli cambiamenti all’assetto monetario meridionale: con tale dinastia si passa infatti da un sistema principalmente bimetallico focalizzato sull’oro (legato quindi alle economie orientali) ad uno focalizzato invece sull’argento (e quindi all’Europa continentale). Il gigliato conobbe la massima popolarità sotto re Roberto d’Angiò, ricordato anche come “Roberto il saggio” per il suo noto mecenatismo nei confronti delle arti e delle lettere.

Durante i primi anni del suo regno furono purtroppo comuni molte frodi nelle varie zecche. Spesso il fino della moneta veniva deliberatamente ridotto dagli addetti. Tale fenomeno condusse a rivolte popolari che spinsero la corona ad una severa politica repressiva nei confronti degli illeciti durante la coniazione. Ricorda il Sambon che “furono dati ai giustizieri delle provincie ordini severi per frenare la rasio sive demolitio monetae, assegnando il premio di 20 Augustali a coloro che denunciassero i falsificatori o tosatori dei carlini“. Una ricompensa di tutto rispetto, considerando che un singolo augustale doveva corrispondere probabilmente a varie mensilità di un bracciante dell’epoca.

Tra le varie manovre economiche adoperate vi fu addirittura il ritiro dal mercato in blocco di tutte le monete che non corrispondessero ai criteri dettati dalla corona. Operazione che fu, con ogni probabilità, estremamente dispendiosa e capillare per l’epoca. Questo impegno nella ricerca di una maggiore stabilità economica fruttò solo in parte. Se da un lato il Gigliato divenne una valuta molto apprezzata nel regno e all’estero, dall’altro le frodi commerciali e monetarie, specialmente da parte di mercanti e banchieri esteri, rimasero una grande problematica per il resto del regno di Roberto.

Re Roberto d’Angiò e sua moglie Sancha di Maiorca. Miniatura proveniente dalla “Bibbia degli Angiò”, oggi conservata presso la Katholieke Universiteit di Leuven, Belgio

Il Gigliato come espressione artistica

Parte della popolarità del Gigliato di Roberto si deve anche al suo particolare stile artistico: esteticamente più appagante di quello di sui padre, Carlo II, costituisce un esimio esempio di commistione tra lo stile della monetazione francese e quello della ritrattistica e delle arti figurative umanistiche. Non è un caso che il Sambon lo riporti come ultima moneta nel suo volume “Indizi numismatici del fervore artistico dei dinasti medioevali dell’Italia Meridionale”. Tra gli incisori che operarono nella sua produzione possiamo ricordare il napoletano Nicola di Morone, Guglielmo Trocullo, Nicolò Rispoli ed infine da Ottavio, di padre francese, probabilmente naturalizzato napoletano.

il gigliato roberto d'angiò
Gigliato di Roberto D’Angiò.

Il Gigliato nel Mediterraneo: una grande popolarità

Ciò che più si ricorda del Gigliato fu la sua grandissima popolarità. Per un periodo della storia europea esso fu tra le monete più utilizzate e riconosciute nei porti e nei mercati internazionali. Il motivo principale di tale azione è già stato illustrato: la peculiare posizione del meridione ed il suo fortissimo legame con l’oriente bizantino ed arabo. In quell’epoca tali territori erano oggetto di una particolare attenzione da parte degli europei: dopo le crociate, nonostante la caduta degli stati crociati, l’impronta economica europea era più forte che mai.

Ovviamente i mercanti italiani non erano estranei a questo processo: basti pensare alla novella del Decameron su Landolfo Rufo per comprendere pienamente le mire di una classe mercantile attiva nel meridione d’Italia che vedeva come suo luogo di commercio privilegiato l’oriente e la costa del nord Africa. E’ inoltre attestata all’interno della corte angioina la presenza di molti beni di lusso legati a scambi commerciali di lungo raggio (provenienti probabilmente anche dalla via della seta).

Una ulteriore e peculiare attestazione della popolarità del Gigliato è costituita dal gran numero di varianti e falsificazioni a cui fu soggetto: sono attestate sue produzioni in Provenza, numerose imitazioni da parte di regnanti e singole città, nonché esemplari postumi, battuti sempre nella zecca di Napoli, ma da regnanti successivi. I falsi più popolari e ricercati al livello numismatico sono quelli definiti come “anatolici“: essi infatti presentano una peculiare leggenda in cufico. Essendo agli autoctoni sconosciuto l’uso delle lettere latine ciò si traduce in una leggenda composta da segni senza alcun significato.

La richiesta di Gigliati in oriente rimase per lungo tempo massiva, addirittura definita dal Sambon come “una vera speculazione“. Un documento del 1326, citato dallo stesso Sambon, riporta un aumento degli addetti alla zecca proprio in rapporto al favore di cui i Gigliati godevano “nell’oriente latino“.

Silvio Sannino

L’incoronazione di Roberto d’Angiò, Capodimonte. A detta della studiosa Sarah K. Kozlowski sono visibili ” un tappeto anatolico, un pastorale di fattura senese, del velluto di Persia e stoffe di seta tessute nell’Asia centrale mongola”

Bibliografia

Arthur Sambon, Indizi numismatici del fervore artistico dei dinasti medioevali dell’Italia Meridionale, Napoli, tipografia della r. accademia di archeologia, lettere e belle arti, 1934

Lucia Travaini: Romesinas, provesini, turonenses…: monete straniere in Italia meridionale ed in
Sicilia (XI-XV secolo), A stampa in: “Moneta locale, moneta straniera: Italia ed Europa XI-XV secolo. The Second Cambridge Numismatic Symposium: Local Coins, Foreign Coins: Italy and Europe 11th-15th Centuries, a cura di L. Travaini (Società Numismatica Italiana, Collana di Numismatica e Scienze Affini, 2), Milano 1999, pp. 113-133 – Distribuito in formato
digitale da “Reti Medievali”

Fernand Braudel: Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II

Michele Pannuti – Vincenzo Riccio: Le monete di Napoli, Nummorum Auctiones S. A; Lugano

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