Il panaro, dalle origini ai giorni nostri

Scinnit o’ panaro signurì” – a questo richiamo di qualsiasi ambulante di frutta, verdura e altri generi alimentari, le signore dei vicoli di Napoli, e di tutta la Campania, calano il cesto dai balconi facendosi portale comodamente la spesa a casa. Chi è venuto a Napoli almeno per un volta non può dire di non aver assistito a questa usanza tipica del popolo, ma, diciamocela tutta, anche di tutto il Sud Italia.

Il panarum, il cesto di vimini da cui nasce la tradizione

L’usanza del panaro ha origini antichissime. I Romani erano soliti utilizzare il panarum, un cesto di vimini in cui veniva conservato il pane, il carboidrato essenziale della dieta mediterranea. Negli anni con l’inventiva dei Napoletani, questo cesto di vimini ha assunto una connotazione differente.

La tradizione, in realtà, nasce dal disagio creato dalla mancanza di comodità all’interno dei palazzi. Le famiglie napoletane, ieri come oggi, erano soliti fare spese abbondanti che potessero far straripare le credenze e imbandire la tavola soprattutto di domenica.

Ma per le donne che si occupavano della spesa, ogni volta era difficile trasportare tutti i viveri fino alla propria abitazione, specialmente se si abitava ai piani alti.

Ed è l’ingegno del popolo napoletano che ancora una volta sorprende e fa tendenza: ai manici del cesto di vimini, venne legata una corda robusta e lunga, da poter calare non appena si sentisse passare un qualsiasi ambulante di generi alimentari.

Questi passavano di prima mattina e, avvisando le signore del proprio passaggio, calavano il panaro dai balconi, acquistando i prodotti comodamente da casa potendo alleggerire il carico della spesa quotidiana.

“Avimmo perduto a Filippo e ‘o panaro”

Avimmo perduto a Filippo e o’panaro” il detto, indica una situazione di incertezza che porta a prendere scelte affrettate. Nasce dalla commedia “il re dei Pulcinella” di Antonio Petito. Ed è in questa commedia che uno dei servitori, insieme al solito Pulcinella, si chiamava proprio Filippo.

Filippo era alla servitù del nobile Pancrazio, il quale un giorno decise di affidargli una cesta piena di prelibatezze. Il servo, forse per ingordigia, decise di divorare tutti i viveri contenuti nel cesto che gli era stato affidato. Dopo, però, assalito dai sensi di colpa e per paura di una punizione severa, decise di non fare più ritorno dal suo padrone e così si diede alla fuga.

Dopo questo episodio, il nobile Pancrazio, avendo perduto sia il servo che il contenuto del cesto, dirà la celebre frase che tutti noi conosciamo.

Il panaro solidale, nato dall’esigenza

Il cesto di vimini è ridiventato protagonista durante il periodo del lockdown dovuto alla pandemia del coronavirus, vivendo tra le restrizioni imposte dal governo per diminuire i contagi dal dal virus SARS-CoV-2, non era possibile avere contatti diretti, nemmeno tra familiari. Una semplice soluzione, per comunicare e aiutarsi con parenti e amici, è stata quella di far calare il panaro e dimostrare, anche se da lontano, che si era comunque vicini e presenti.

Con la stesso principio fu istituito tra i vicoli il panaro solidale, promosso dalle associazioni che lavoravano alla mensa dei poveri, ma che chiusero durante l’emergenza sanitaria. Il cesto era sospeso tutto il giorno e raccoglieva in modo anonimo generi alimentari, che potessero aiutare le famiglie in difficoltà.

Ognuno di questi era contraddistinto dalla frase di don Giuseppe Moscati “chi può metta, chi non può prenda“, le modalità di donazione era anonima, ciò incentivava le persone sia a donare che a prendere. Il panaro solidale venne finalmente tirato su a fine emergenza sanitaria, ma resta ancora simbolo di umanità e solidarietà, caratteristiche che alla città di Napoli non sono mai mancate.

Bibliografia

Curiosità napoletane. Storie, aneddoti e modi di dire della tradizione popolare, Elisa Chinni Rampone, Tina De Gregorio Palumbo, Graus Edizioni, 2016

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