C’è un modo di dire a Napoli molto antico, utilizzato ancora oggi, soprattutto dai genitori assillati dai figli, che recita più o meno così: «Ma che vaco mettenno ‘a fune ‘e notte?». Un’ideale traduzione letteraria potrebbe essere la seguente “Mica vado a mettere la fune di notte?!”.
Una locuzione, questa, che apparentemente non significa nulla. Ma la sua origine e, soprattutto, il suo significato, sono da ricercarsi nei vicoli bui della città.
Un labirinto di vicoli dai tempi dei Greci
Il centro storico di Napoli, Patrimonio dell’UNESCO dal 1996, è il risultato della sovrapposizione di diverse epoche che, sin dai Greci, ha continuato a ricalcare la topografia dell’antica Neapolis. Il risultato è un’intricata rete di stradine, la cui vicinanza dei palazzi, rende parzialmente bui: “Stu’ vico niro nun fernesce maje – cantava Sergio Bruni alla fine degli anni ‘70 – e pur ‘o sole passa, e se ne fuje”. Questo vicolo scuro (letteralmente, nero) sembra non finire mai. Anche il sole qui passa e scappa via. Un brano che sembra disegnare con un’unica pennellata musicale la fisionomia della maggior parte dei vicoli del centro storico della città.
Mettere la fune di notte
Questo assetto topografico comportava un buio totale dopo il tramonto, rendendo poco sicuro passeggiare per le strade durante le ore notturne, soprattutto per le persone abbienti.
Era consuetudine, infatti, per i malintenzionati, approfittare dell’oscurità per derubare i ricchi nobili agli angoli delle strade. Approfittando di coni d’ombra, i malviventi si mettevano ai lati dei vicoli, tendendo una corda per far inciampare il malcapitato di turno, così da poterlo facilmente derubare una volta a terra. Da qui l’ormai noto modo di dire, “mettere la fune di notte”.
Nacque così la consuetudine per nobili e ricchi, di farsi accompagnare da un servitore, che li precedeva con una torcia e, più tardi, con una lampada ad olio, facendo luce.
Padre Rocco e le edicole che impediscono di “mettere la fune di notte”
A trovare una soluzione ci pensa Padre Gregorio Maria Rocco, nella metà del XVIII secolo, che, per risolvere questo problema ignorato persino dai regnanti, pensò bene di fare leva su di una cosa molto diffusa nel popolo: la fede.
Definito “L’uomo del popolo presso la Corte”, Padre Rocco aveva grande ascendente sui sovrani Carlo e poi Ferdinando IV. Il prelato riuscì a far realizzare alcune opere pubbliche, come la fondazione di un camposanto e dell’Albergo dei Poveri. Padre Rocco aveva altresì creato l’ospizio per le ragazze “pericolanti” di S. Vincenzo Ferreri e i monti del Bambino Gesù e della Sostentazione.
Padre Rocco ebbe l’idea di far apporre immagini sacre sui muri delle case, spingendo i fedeli a prendersene cura e ad avere accortezza di accendere una o più candele nelle ore notturne.
I vicoli furono così letteralmente illuminati dalla fede del popolo e dalle tante edicole votive che per devozione furono installate in tutta la città, rischiarando quel buio complice della “tecnica della fune”, che risultò più difficile da attuare. I malintenzionati, temendo l’ira divina, si guardavano bene dallo spegnere le lampade di queste edicole votive diventate ormai sacre agli occhi del popolo.
La città di Napoli, dopo i primati per l’illuminazione a olio e a gas, fu anche la prima a dotarsi di una rete elettrica a partire dal 1875.
L’illuminazione elettrica a Napoli
Nel cuore pulsante di Napoli, era la società Mende & Co., nota anche come Società Generale per l’Illuminazione, a gestire la luce privata dalla sua sede in piazza Cavour.
Nel 1885, sotto la guida del sindaco Nicola Amore, il comune di Napoli intraprese una svolta storica. Nei contratti dell’illuminazione pubblica, fu stabilito che la Compagnia del Gas dovesse convertire la propria energia in quella elettrica, altrimenti il loro accordo sarebbe stato rescisso immediatamente.
L’aria del cambiamento soffiava forte tra le strade partenopee e i suoi vicoletti, alimentando il desiderio di un’illuminazione più radiosa, più moderna, più consona all’anima pulsante della città.
Bibliografia
Le strade di Napoli, G. Doria
Sulla circoscrizione civile ed ecclesiastica e sulla popolazione della città di Napoli, dalla fine del secolo XIII al 1809, B. Capasso
I Borboni di Napoli, A. Dumas
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