“Una creatura senza difesa” è una breve commedia di Titina De Filippo (Napoli, 1898 – Roma, 1963), drammaturga e attrice, sorella di Eduardo e Peppino De Filippo. La primogenita di Eduardo Scarpetta e di sua nipote Luisa De Filippo dedicò tutta la vita al teatro e al cinema, iniziando a recitare fin da bambina nella compagnia del padre insieme ai fratelli.

Una creatura senza difesa
Titina De Filippo, autrice de “Una creatura senza difesa”

La carriera di Titina De Filippo

Titina De Filippo, dopo aver recitato nella compagnia del padre, interpretando soprattutto ruoli maschili, entrò a far parte della compagnia del figlio legittimo di Scarpetta, Vincenzo. Successivamente, Titina si inserì nella compagnia di Francesco Corbinci, noto capocomico napoletano dell’epoca. Lì incontrò il suo futuro marito, Pietro Carloni (Taurisano, 1898 – Roma, 1968) e padre dell’unico figlio di Titina, Augusto.

Tra il 1930 e il 1931 raggiunse il successo come attrice teatrale della Compagnia Stabile Napoletana Molinari, recitando accanto a Totò. Nel 1932 fondò insieme ai fratelli il gruppo de “Il Teatro Umoristico I De Filippo”, che si trasformò nella “Compagnia di Eduardo”, dopo l’allontanamento di Peppino a seguito di litigi con Eduardo. Titina fu la protagonista di molte commedie del fratello, come “Filumena Marturano”, scritta da Eduardo appositamente per lei.

A partire dal 1951, scioltasi la compagnia, Titina si ritirò progressivamente dalla scena teatrale, limitandosi a rivestire il ruolo di sceneggiatrice o di attrice cinematografica.

“Una creatura senza difesa”: la trama

La commedia è ambientata all’interno di una banca: gli impiegati lavorano freneticamente agli sportelli quando sopraggiunge un’anziana signora, protagonista della vicenda. La donna, di nome Cristina, chiede alla cassiera Cerenzia di poter riscuotere la pensione governativa del marito defunto. Inoltre, spiega che la pensione veniva ritirata mensilmente dal nipote, che ora è partito lasciandola sola. Cristina mostra a Cerenzia il libretto di pensione; quest’ultima sostiene che l’anziana sbaglia a rivolgersi alla sua banca.

CERENZIA: […] Questa è una banca privata e non è qua che vi dovete rivolgere. Vi ripeto, questa è una banca privata e non c’entra affatto con la pensione governativa.

Purtroppo per la signorina Cerenzia, Cristina continua a insistere, dichiarandosi anche offesa per il modo in cui l’impiegata ha osato trattarla. Le due discutono animatamente, attirando l’attenzione anche degli altri impiegati.

CRISTINA: […] Come se io venissi a chiedere l’elemosina. Sono soldi che mi spettano. Io con quel poco vivo.

CERENZIA: Ma se non ve li dobbiamo dare noi.

CRISTINA: Centotrentasette lire…signori miei… (gridando)

CERENZIA: Signò, statevi zitta per carità…Questa è una banca, che credete, che state a casa vostra? Io chiamo l’usciere e ve ne faccio caccia’.

CRISTINA: Non mi mettete le mani addosso perché grido sapete…

A quel punto, interviene un secondo impiegato per capire cosa sta accadendo e Cristina ripete nuovamente le sue richieste. Anche stavolta, però, non riesce a raggiungere il suo obiettivo: infatti, anche il nuovo impiegato le spiega che non è quella la banca in cui poter ritirare la pensione del marito. L’uomo cerca di spingere l’anziana signora verso l’uscita, ma Cristina inizia ad inveire anche contro di lui.

CRISTINA: E che facciamo qua? Voi così trattate la gente? Non sta bene di abusare di una povera vecchia come me, che si trova in mezzo ad una strada senza sapere come. […] Io sono una signora. Capite? (alzando la voce) Sono una signora e sono vecchia, perciò rispettatemi, sennò faccio correre ‘a cavalleria.

IMPIEGATO: (all’usciere) Aggie pacienza Gaetà, pigliala p’o vraccio e portala fore.

Cristina si ribella al tentativo dell’usciere di trascinarla via, insulta l’impiegato e si agita, a tal punto che si sente svenire. La fanno accomodare su una sedia, fin quando, attirato dal trambusto, non arriva il direttore. Cerenzia gli spiega cosa l’anziana pretende inevitabilmente da loro e anche il direttore, allora, prova a convincere la donna ad andar via.

IMPIEGATO: Il vostro caso non ci riguarda e non ci interessa…queste so dieci lire e jatevenne.

CRISTINA: E che ho chiesto l’elemosina? Farabutti…ladri!

L’usciere riesce a portar via Cristina con l’inganno, assicurandole, invece, di condurla a ritirare la pensione in un’altra zona della banca. Poco dopo però, l’anziana rientra sulla scena, urlando a gran voce.

CRISTINA: Se credeva ca io ero scema. Me voleva punà fore a me! Ma io voglio essere data retta.

Il direttore, non trovando soluzione, decide allora di regalarle di tasca sua cento lire pur di vederla andar via. L’anziana, però, continua a insistere imperterrita che la somma che le spetta è di centotrentasette lire e cinquanta. Cerenzia, esausta come il resto degli impiegati, propone loro di fare una colletta per arrivare alla somma desiderata dalla signora. Tutti pensano di poter finalmente vedere Cristina andare via, ma è solo una vana speranza.

CRISTINA: […] Dopo domani torno e mi date l’altro mensile! Buona giornata.

Insomma, non sarà facile liberarsi della signora per gli impiegati, se non svuotandosi le loro tasche ogni mese!

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