In un pittoresco borgo situato nel quartiere di Posillipo, noto a molti per la sua bellezza mozzafiato e per l’atmosfera romantica, si cela una storia oscura e inquietante: quella del “Mostro di Marechiaro“.
Un tempo, questo appellativo era attribuito a una creatura misteriosa che abitava le acque del golfo. Nella leggenda, aveva occhi grandi e rossi come la lava del Vesuvio e squame lunghe, lucenti e accecanti. Questa paura, che sembrava non poter diventare concreta perché relegata alla leggenda, trovò presto un degno erede nella realtà, facendo vivere nel terrore per molti anni il popolo napoletano.
La vita di Andrea Maria Rea
Nel 1956, nacque in una famiglia dell’alta borghesia partenopea un bambino di nome Andrea Maria Rea. Dopo una tranquilla adolescenza, Andrea si laureò in filosofia con il massimo dei voti, uno studente modello con grandi aspettative da parte della famiglia. “Normalità” sconvolta nel 1982 quando il fratello Antonio morì e il dolore lo inghiottì, divorando tutto ciò che di buono la sua anima potesse avere.
Alcuni pensano sia stato proprio questo il motivo scatenante dei suoi istinti violenti, altri che fosse in stato di quiescenza e che aspettasse il momento giusto per risvegliarsi.
L’arresto del “mostro di Marechiaro”
L’arresto a Ischia nel 1983 per violenza sessuale ai danni di una turista finlandese, fu il primo di una serie di crimini che avrebbero scosso la città.
Capì dopo quell’episodio che la “sola” violenza sessuale non bastava e che per raggiungere lo stato di eccitazione totale avrebbe dovuto fare a pezzi le sue vittime.
La prima fu Anna B., una giovane donna che risiedeva nella sua stessa casa di cura.
Il 25 dicembre 1983, giorno di gran festa per molti, Rea convinse Anna con un escamotage a salire sulla sua auto, la uccise con un arma bianca e gettò il suo corpo in mare. Corpo mai ritrovato. Lo stesso Rea durante un interrogatorio, con estrema freddezza e lucidità, raccontò le modalità del brutale delitto.
Qualche anno dopo, precisamente nel 1987, violentò brutalmente una sua cara amica.
Tuttavia, il crimine che gli valse il soprannome di “Mostro di Marechiaro” fu l’omicidio di Silvana A. nel 1989. Rea legò le mani della donna e le tappò la bocca con un cerotto. Le recise l’aorta e la uccise, letteralmente, a morsi sul collo. La furia incontrollata di Rea non si placò e utilizzando un coltello da cucina fece a pezzi la povera Silvana. Ritrovata pochi giorni dopo in una valigia a Marechiaro.
La condanna del “mostro di Marechiaro”
Rea fuggì a Nizza, dove fu fermato in stato confusionale dalla polizia e portato in una clinica.
Ritenuto schizofrenico e paranoico, la sua condanna fu di 10 anni di reclusione per l’omicidio di Silvana A. e a 5 anni per quello di Anna B. Nel 2003, usufruendo di un permesso premio, tentò di fuggire a Milano, ma fu rintracciato meno di 48 ore dopo. Mai si pentì e mai mostrò rimorso per ciò che aveva fatto.
Oggi Andrea Maria Rea, il Mostro di Marechiaro, vive in provincia di Caserta in una REMS, Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza. Ha più di sessant’anni ed è il detenuto e internato in OPG più vecchio che la Repubblica Italiana abbia “ospitato”.
Questa storia rappresenta il sottile legame che si cela tra finzione e realtà.
Quel mostro dagli occhi infuocati che abitava le acque della città incutendo timore, non era nulla in confronto al male generato da un uomo il cui scopo era “estirpare la figura femminile dalla società ad ogni costo”, lasciando così una scia rosso scarlatto su quel borgo pittoresco immerso nel blu.
Sitografia
Abitarearoma.it
Stylo24.it
Leave a Reply